L’Italia sta cercando delle opzioni per liberarsi dalla dipendenza da gas russo. Nelle ultime settimane le notizie sugli accordi presi non sono mancate, ma le alternative sono davvero migliori?
L’Italia vuole, anzi deve, sostituire il gas russo e da settimane cerca la soluzione puntando a rafforzare e creare nuove tratte commerciali. Verrebbe da dire “alla buon ora”, visto che la diversificazione, cioè la riduzione dei rischi, è alla base di qualsiasi teoria economica. Dopo aver raggiunto livelli di dipendenza del 40-45% del gas russo - e dipendendo fino a oltre il 90% da forniture estere - la guerra in Ucraina ha ricordato al governo italiano tale basilare principio.
Per un po’ la realpolitik, cioè la “politica concreta” fondata sugli interessi del paese, ha prevalso. Erano tutti ben consapevoli che di punto in bianco non saremmo riusciti né a fare a meno del gas russo, né a fare a meno del gas in generale. La transizione ecologica sarebbe dovuta iniziare molto prima, ma così non è stato e allora è iniziata quella che oggi viene chiamata social washing o, italianizzando, l’ipocrisia di andare a cercare gas da Paesi altrettanto criticabili.
Per sostituire il gas russo infatti l’Italia si sta guardando intorno, verso Paesi che geograficamente potrebbero apparire lontani dalla Russia, ma che sono invece piuttosto amichevoli con questa o che comunque hanno in comune una certa tendenza a ignorare quei diritti che l’Occidente considera fondamentali. Algeria, Qatar, Egitto e Azerbaijan, per citarne alcuni, sono considerati Paesi “migliori” con i quali commerciare, ma è davvero così?
Alla ricerca di gas per sostituire quello russo: cosa sta facendo l’Italia
L’Italia ha la necessità di diversificare la provenienza dei propri acquisti di gas. Non è solo una questione etica, diversificare i partner commerciali serve prima di tutto per evitare i rischi del mercato o, in questo caso, i ricatti politici. Non è sempre stato così chiaro, tanto che nel corso degli anni la dipendenza italiana verso il gas russo non ha fatto altro che aumentare. Nel 2022 la percentuale maggiore di gas acquistata dall’Italia, già fortemente dipendente (90%) dall’importazione della materia dall’estero, proveniva proprio dalla Russia (40%).
Subito dopo la Russia, con i suoi 29 mld di m3, l’altro grande partner è l’Algeria con 21 mld di m3 ai quali si aggiungono i 9 miliardi firmati l’11 maggio dalla missione condotta da Mario Draghi proprio in Algeria. Facendo rapidamente due conti è però parso evidente fin da subito che l’accordo non avrebbe riempito l’ipotetico vuoto lasciato dal gas russo.
“Dopo Algeria, Qatar, Congo, Angola e Mozambico oggi rafforziamo la cooperazione in campo energetico con l’Azerbaijan. Continuiamo a lavorare per tutelare imprese e cittadini italiani dalla crisi del gas. Andiamo avanti, non c’è tempo da perdere contro ogni ricatto o speculazione”, scrive Luigi Di Maio su Twitter. E inizia a sorgere un dubbio su quanto i Paesi con cui si firmano nuovi contratti commerciali siano migliori della Russia contro la quale sono state scagliate le sanzioni economiche.
L’Italia e l’ipocrisia di cercare gas in Paesi non migliori della Russia
Gli accordi per il gas sono essenziali, soprattutto quando dipendiamo così tanto dai partner commerciali e senza una rapida soluzione per la transizione ecologica. Carlo Calenda in poche battute ha riassunto il problema italiano riferendosi al segretario del Partito Democratico, Enrico Letta:
Vuoi lo stop immediato e totale al gas russo ma non vuoi il gas egiziano perché l’Egitto viola i diritti umani. Però non vuoi neanche il carbone per sostituire temporaneamente il gas russo, perché inquina. Hai una soluzione o facciamo solo retorica?
Ecco, proprio di questo si tratta. La ricerca del gas russo è fatta di retorica e di ipocrisia, tanto che guarda e stringe accordi con Paesi non così lontani dalla Russia. A partire dalla stessa Algeria, denunciata da Amnesty International per la violazione dei diritti umani, repressioni violente al dissenso e limitazione alla libertà di stampa. Discorso simile per l’Azerbaijan, che è finito sotto l’attenzione di Human Rights Watch per la tortura ai dissidenti e la guerra contro l’Armenia. Il caso dell’Egitto invece ci tocca particolarmente. Infatti l’accordo per il gas ostacola ancora una volta la richiesta di trasparenza sul caso di Giulio Regeni e Patrick Zaki.
Un ultimo sguardo sarebbe poi da gettare al tabellone della votazione della risoluzione Onu dello scorso 24 marzo, quando si votava sulle conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina e l’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, in particolare di eventuali attacchi contro civili. In quell’occasione Algeria si astenne e l’Azerbaijan non votò. L’Egitto, al contrario, votò in linea con i 140 Paesi che condannarono la Russia.
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