La guerra cambia la politica estera dei partiti italiani

Vincenzo Caccioppoli

11 Aprile 2022 - 12:14

Il dibattito sulla guerra in Ucraina divide l’opinione pubblica ma anche lo scacchiere politico italiano. Tra nuove e vecchie posizioni, Giorgia Meloni ancora una volta risulta la più coerente.

La guerra cambia la politica estera dei partiti italiani

Tra i tanti stravolgimenti che questa guerra in Ucraina ha provocato c’è n’è uno tutto italiano interno agli schieramenti politici italiani e al loro atteggiamento nei riguardi di quello che sta accadendo in Ucraina. Quello a cui stiamo assistendo sembra una sorta di cambio paradigmatico o di quasi rivoluzione copernicana delle posizioni di politica estera da parte di quasi tutti i principali partiti italiani.

Fin da subito il più intransigente nel chiedere un atteggiamento durissimo contro Putin sul fronte delle sanzioni e non solo è stato, un po’ a sorpresa, il leader del Partito democratico italiano, Enrico Letta, dimenticando decenni di vicinanza della sinistra italiana al regime di Mosca. In un post su Twitter, dopo la scoperta del massacro atroce di Bucha, il segretario del Pd si è spinto fino a chiedere immediatamente il blocco delle importazioni di gas russo da parte dell’Unione europea, cosa che come giustamente ha fatto notare la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni «sarebbe un suicidio per il nostro Paese».

Altrettanto a sorpresa si registra, invece, un atteggiamento assai più cauto di Lega e Forza Italia che, pur condannando l’aggressione di Mosca a Kiev, non sono stati certo così netti nel condannare Vladimir Putin, che da Salvini e Berlusconi è sempre stato considerato in questi anni come un grande leader con cui rapportarsi in maniera proficua. D’altra parte l’esperienza di governo giallo verde del 2018, aveva già in questo senso rappresentato un allontanamento dalle posizioni italiane dall’atlantismo, che ha contraddistinto la nostra politica estera nel dopoguerra, per avvicinarsi a Russia e Cina.

E un recente sondaggio Swg ha mostrato come un terzo degli italiani consideri comunque la guerra una concausa dell’eccessivo allargamento a est da parte della Nato, giustificando in qualche misura l’aggressione di Putin all’Ucraina.

La politica italiana si divide con la guerra in Ucraina

Nel nostro Paese, quindi, il dibattito tra pro e anti Putin è molto più aperto di quanto possa sembrare. E cosi le posizioni dei partiti sembrano allo stesso tempo subire gli umori della gente, ma con una differenza sostanziale che le rende molto più distinte da quelle che per anni sono state le posizioni italiane in politica estera e che da sempre vedono il centrodestra seguire il solco lasciato dalla vecchia democrazia cristiana ed essere pedissequamente vicini alle posizioni di Usa e Nato e quelle della sinistra assai più critiche verso americani e Nato. In questo stravolgimento ancora una volta spicca per la sua coerenza Giorgia Meloni e quella del suo partito, Fratelli d’Italia, che non a caso torna il primo partito italiano per gradimento nei sondaggi, ai danni proprio del Pd lettiano, che senza se e senza ma si è subito schierata convintamente dalla parte della Nato contro l’aggressione russa.

Leggo sulla stampa di una presunta svolta atlantista di Giorgia Meloni. Vorrei ricordare che dal Msi a oggi la destra è sempre stata atlantista. FdI ha sempre avuto a cuore le alleanze ma anche la difesa interesse nazionale. Quando arriva un conflitto ti devi schierare ed è giusto che l’Italia sia compatta. Ma tutto ciò non va confuso con il fatto che FdI resta all’opposizione in modo netto e preciso”, ha commentato la leader durante un recente dibattito proprio con il segretario del Pd Enrico Letta.

Il supposto populismo di Putin che evidentemente ha avuto una certa influenza sia su Salvini che su Berlusconi ha attecchito meno sulla Meloni. La sinistra invece cambia la sua naturale e quasi obbligata posizione se non di appoggio alla Russia, quantomeno di equidistanza verso le due posizioni. Enrico Letta ha compiuto un ennesimo passo in avanti, andando oltre anche alle stesse posizioni più prudenti del premier Draghi per quanto riguarda il gas russo, le cui importazioni coprono, e questo forse Letta lo dimentica, il 42% del nostro fabbisogno energetico nazionale.

Certamente le vecchie contrapposizioni tra est e ovest dopo la guerra fredda sono state superate, ma sorprende comunque questo ennesimo cambio da parte del Pd, che sembra sempre più volersi scrollare di dosso la lunga eredità del vecchio Pci. Certo qualcuno ricorderà il netto distinguo del segretario di allora delle Cgil, Di Vittorio, di fronte all’invasione dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956. Ma allo stesso tempo i più anziani ricorderanno che il direttivo del Pci, pur con qualche distinguo non condannò mai l’intervento dell’armata rossa in Ungheria, e anzi appoggiò la decisione del PCUS. Cosi come mai fu condannata apertamente la repressione del ‘68 a Praga, malgrado il segretario comunista dell’epoca Luigi Longo incontrò il ceco Dubcek manifestandogli un malcelato appoggio alla sua svolta riformista.

La svolta avvenne solo anni dopo con Enrico Berlinguer, anche se il cordone ombelicale con la Russia non fu mai tagliato di netto. Chissà se la prospettiva di essere eletto per sostituire l’attuale segretario della Nato Jens Stoltenberg, non abbia spinto Enrico Letta a tagliare definitivamente quel legame che da sempre ha unito i destini della sinistra italiana e della Russia.

Certo è che a guardare gli ultimi sondaggi non sembra una scelta troppo premiante dal punto di vista del consenso. Così come dall’altra parte della barricata per ragioni diametralmente opposte non sembra premiante l’eccessiva prudenza mostrata sia da Salvini che da Berlusconi. Tutto ciò pare giocare a vantaggio di Giorgia Meloni, che sembra essere ormai in grado di convincere anche gli ultimi scettici della sua affidabilità e autorevolezza, anche in decisioni importanti e delicate come quelle in politica estera.

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