Con l’approvazione del pacchetto da 91 miliardi di dollari, il complesso militar-industriale americano ha vinto ancora una volta.
«Questa combinazione di un’immensa istituzione militare e di una grande industria degli armamenti è nuova nell’esperienza americana. Eppure non possiamo non comprenderne le gravi implicazioni. Nei consigli di governo dobbiamo evitare che il complesso militare-industriale acquisisca un’influenza ingiustificata, voluta o non voluta. Il potenziale per la disastrosa ascesa di un potere mal riposto esiste e persisterà».
Il 17 gennaio 1961, in questo profetico discorso d’addio, il presidente Dwight Eisenhower mise in guardia - purtroppo inascoltato - da quel «complesso militare-industriale» che avrebbe trascinato, con la complicità della politica, gli Stati Uniti d’America in diverse (dis)avventure militari in tutto il mondo, dal Vietnam passando per l’Afghanistan e l’Iraq. Facendo diventare gli Usa un Paese costantemente impegnato a fare guerre in giro per il mondo. Basti pensare che l’americana più anziana, scriveva il Washington Post nel 2020, era Hester Ford, nata nell’agosto del 1905 (deceduta in seguito nel 2021). Gli Stati Uniti sono stati in guerra per più di un terzo della sua vita.
L’ennesima vittoria del complesso militar-industriale
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