In quali casi si può ricorrere al lavoro intermittente? Cosa cambia rispetto agli altri contratti di lavoro subordinato e che tipo di adempimenti ci sono per l’azienda? Guida completa al job on call.
Nell’ordinamento italiano la forma comune di rapporto di lavoro è rappresentata dal contratto a tempo indeterminato.
Per questo motivo, nell’ottica di incentivare un’occupazione stabile a beneficio di tutti i settori produttivi, tutte le tipologie contrattuali diverse dall’indeterminato sono soggette a precisi limiti di durata (si pensi al contratto a termine) o di legittimo ricorso (come avviene per il lavoro autonomo occasionale o le collaborazioni coordinate e continuative).
Tra i rapporti che rappresentano una deroga rispetto al contratto a tempo indeterminato, figura il rapporto di lavoro intermittente o job on call (soggetto anch’esso a determinati requisiti e limitazioni).
Il decreto legislativo del 15 giugno 2015 numero 81, oltre a raccogliere la disciplina del lavoro intermittente (articoli dal 13 al 18) ne fornisce anche la definizione. Tale si intende infatti un contratto «anche a tempo determinato, mediante il quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione anche in modo discontinuo o intermittente».
Esistono due distinte tipologie di job on call:
- lavoro intermittente con obbligo del dipendente di rispondere alla chiamata dell’azienda e conseguente diritto ad un’apposita indennità;
- lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità.
Come sopra accennato, il contratto in questione è soggetto a determinati limiti, al pari delle altre tipologie lavorative diverse dall’indeterminato, soprattutto per quanto riguarda le condizioni (oggettive o soggettive) in cui è ammesso.
Analizziamo quindi in dettaglio come funziona e chi può ricorrere al job on call.
Lavoro intermittente: cos’è, chi può farlo, limiti e obblighi per azienda e dipendente
- Ipotesi oggettive di ricorso al lavoro intermittente
- Ipotesi soggettive di ricorso al lavoro intermittente
- Esistono dei limiti di durata?
- Quando non si può ricorrere al lavoro intermittente?
- Quali sono gli adempimenti richiesti per il lavoro intermittente?
- Garanzia di disponibilità
- Trattamento economico e normativo
Ipotesi oggettive di ricorso al lavoro intermittente
Le prestazioni di lavoro intermittente sono ammesse per esigenze ed attività individuate dai contratti collettivi (compresi quelli aziendali), anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
In assenza di regolamentazione collettiva, le ipotesi di ricorso al lavoro intermittente sono individuate da un decreto del Ministro del lavoro.
Il decreto in questione è datato 23 ottobre 2004 ed afferma che «è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657».
Nell’elenco in parola (previsto al fine di indicare le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia) figurano 46 attività, tra cui:
- Custodi;
- Guardiani diurni e notturni;
- Portinai;
- Fattorini (eccezion fatta per quanti svolgono mansioni che richiedono un’applicazione assidua e continuativa), uscieri ed inservienti;
- Personale addetto alle gru;
- Personale addetto alla manutenzione stradale.
Ipotesi soggettive di ricorso al lavoro intermittente
A prescindere dal tipo di attività svolta, il ricorso al lavoro intermittente è consentito da parte di soggetti:
- di età pari o superiore a 55 anni, anche se pensionati;
- di età inferiore a 24 anni (di conseguenza sino a 23 anni e 364 giorni), a patto che le prestazioni si concludano entro i 25 anni.
È peraltro consentito, come affermato dalla Corte di giustizia europea il 19 luglio 2017 con sentenza C-143/16, di procedere al licenziamento di un dipendente, assunto con contratto di lavoro intermittente, una volta raggiunta la soglia dei 25 anni di età.
Esistono dei limiti di durata?
Ai sensi dell’articolo 13 comma 3 dlgs numero 81/2015, eccezion fatta per i settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo, il lavoro intermittente è ammesso, con riferimento a ciascun lavoratore con il medesimo datore, per un periodo complessivamente non eccedente le 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.
Superare i suddetti limiti di durata comporta la trasformazione del rapporto a tempo pieno ed indeterminato.
Al fine di calcolare correttamente le 400 giornate di effettivo lavoro è necessario procedere a ritroso di 3 anni, a partire dal giorno in cui è prevista la prestazione.
Quando non si può ricorrere al lavoro intermittente?
È fatto divieto all’azienda (articolo 14 dlgs numero 81/2015) di ricorrere al lavoro intermittente:
- Per sostituire personale assente in sciopero;
- Presso unità produttive in cui, nei 6 mesi precedenti, si siano verificati licenziamenti collettivi ovvero siano in atto sospensioni dal lavoro o riduzioni di orario in regime di Cassa integrazione (il divieto opera con riferimento ai lavoratori adibiti alle stesse mansioni di quelli licenziati o sospesi);
- Se non si è provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi.
Peraltro, come chiarito dall’Ispettorato nazionale del lavoro (Lettera Circolare del 15 marzo 2018 numero 49) l’assenza del Documento di valutazione dei rischi (DVR) comporta «la trasformazione del rapporto di lavoro in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che normalmente» potrà essere «a tempo parziale».
Quali sono gli adempimenti richiesti per il lavoro intermittente?
L’avvio di un contratto di job on call dev’essere comunicato al ministero del Lavoro attraverso l’invio telematico del modello Unilav, con gli stessi limiti e modalità previsti per le altre tipologie di lavoro dipendente.
In particolare, la comunicazione dev’essere trasmessa entro le ore 24 del giorno che precede quello di effettiva instaurazione del rapporto.
L’invio dell’Unilav è altresì utile ai fini dell’assolvimento degli obblighi di comunicazione nei confronti di Inps, Inail, Ispettorato nazionale del lavoro ed Anpal.
In aggiunta alla comunicazione di assunzione (e a differenza di quanto previsto per le altre tipologie di lavoro dipendente), il datore di lavoro è tenuto, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non eccedente i 30 giorni, a comunicarne la durata all’Ispettorato territoriale del lavoro competente.
In tal caso, la comunicazione (da non confondere con l’invio dell’Unilav e, peraltro, non sostitutiva di quest’ultimo) avviene utilizzando il modello «UNI-intermittente», contenente:
- I dati identificativi del datore di lavoro e del dipendente;
- La data di inizio e fine della prestazione lavorativa.
L’UNI-intermittente (la cui trasmissione può avvenire anche nello stesso giorno di inizio della prestazione, purché prima dell’effettivo impiego del lavoratore) è trasmesso esclusivamente con una delle seguenti modalità:
- Piattaforma ClicLavoro;
- Via posta elettronica ordinaria all’indirizzo PEC «intermittenti@pec.lavoro.gov.it»;
- Con un SMS inviato al numero 339.9942256 con il codice fiscale del lavoratore (per le sole prestazioni da svolgersi non oltre 12 ore dalla comunicazione stessa);
- Utilizzando l’APP «Lavoro intermittente» disponibile per smartphone e tablet.
Un ulteriore adempimento è la stipula del contratto di assunzione (a tempo indeterminato o a termine).
Il documento, da redigere in forma scritta ai fini della prova, deve riportare:
- Durata del rapporto;
- L’ipotesi soggettiva od oggettiva che consente il ricorso al lavoro intermittente;
- Luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore, oltre al relativo preavviso di chiamata (che in ogni caso non può essere inferiore ad un giorno lavorativo);
- Trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e, se prevista, la relativa indennità di disponibilità;
- Forme modalità con cui il datore di lavoro può chiedere la prestazione lavorativa, oltre alle modalità di rilevazione della prestazione;
- Misure di sicurezza necessarie in virtù del tipo di attività dedotta in contratto.
Da ultimo, oltre alle attività già previste per la generalità dei lavoratori dipendenti, quali:
- Elaborazione e stampa cedolino paga e Libro Unico del Lavoro;
- Elaborazione e pagamento contributi ed imposte con modello F24;
- Elaborazione ed invio modello Uniemens all’Inps;
l’azienda è tenuta ad informare le rappresentanze sindacali in azienda (RSA o RSU), con cadenza annuale, sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente (fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti collettivi).
Garanzia di disponibilità
Datore di lavoro e dipendente possono stabilire il riconoscimento di un’indennità economica, a fronte dell’obbligo assunto dal lavoratore di rendersi disponibile in caso di chiamata da parte dell’azienda.
La somma in questione, denominata «indennità economica di disponibilità», dev’essere riconosciuta al lavoratore anche per i periodi di inattività.
Tuttavia, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può rappresentare motivo di licenziamento, oltre alla richiesta di restituire l’indennità percepire per il periodo successivo al rifiuto ingiustificato.
La definizione dell’ammontare dell’indennità è rimessa alla contrattazione collettiva. In ogni caso, la somma non potrà essere inferiore ad un determinato importo fissato con decreto ministeriale, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In caso di temporanea indisponibilità del lavoratore, questi è tenuto ad informare tempestivamente l’azienda, precisando la durata dell’impedimento.
L’omessa comunicazione comporta la perdita dell’indennità per un periodo di 15 giorni (a meno che il contratto di assunzione o gli accordi successivi tra le parti non prevedano diversamente).
Trattamento economico e normativo
Pur essendo un contratto pensato per prestazioni di durata contenuta, la normativa protegge e tutela gli intermittenti disponendo (articolo 17 dlgs numero 81/2015) che gli stessi non ricevano, per i periodi lavorati ed a parità di mansioni svolte, un «trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello».
La retribuzione spettante (ed in generale il trattamento economico e normativo) devono essere riproporzionati in virtù della prestazione lavorativa effettivamente eseguita «in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale» (ancora l’articolo 17).
In particolare, il lavoratore intermittente:
- Riceve una retribuzione oraria maggiorata delle somme a titolo di mensilità aggiuntive (tredicesima ed eventuale quattordicesima);
- È computato nell’organico aziendale in proporzione all’orario effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
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