Malattia, chi può superare il periodo di comporto (e non essere licenziato)

Ilena D’Errico

6 Maggio 2024 - 22:57

In alcuni casi particolari, i lavoratori hanno diritto a superare il periodo di comporto per malattia senza rischiare il licenziamento. Ecco quando.

Malattia, chi può superare il periodo di comporto (e non essere licenziato)

Tra i diritti dei lavoratori c’è quello ad assentarsi in caso di malattia o infortunio, senza avere ripercussioni di alcun genere al rientro e conservando il posto di lavoro. È però fondamentale che la durata complessiva delle assenze non superi il limite fissato dalla legge, ovvero il periodo di comporto. Quest’ultimo non coincide necessariamente con l’indennizzazione della malattia e dell’infortunio, trattandosi proprio della durata massima di assenza, oltre cui il dipendente può anche essere licenziato.

La normativa che individua il periodo di comporto varia per operai e impiegati, tenendo conto del CCNL di riferimento e dell’anzianità di servizio, ma è uguale per tutti. Questo significa che la durata massima di malattia non considera le specifiche condizioni di salute ed esigenze del lavoratore e nemmeno la patologia che lo porta ad assentarsi dal servizio.

Ci sono, sì, alcune eccezioni per le quali le assenze non sono calcolate nel periodo di comporto ordinario, ma secondo l’orientamento della Corte di Cassazione queste regole vanno interpretate in senso più ampio, al fine di evitare di discriminare i lavoratori più fragili. Ecco che cosa significa e quando si può superare il periodo di comporto senza rischiare il licenziamento.

Chi può superare il periodo di comporto?

La legge impone che alcune assenze dal lavoro per malattia o infortunio non siano conteggiate nel periodo di comporto, alla luce della loro particolarità. Nel dettaglio, tra le assenze che non rientrano nel periodo di comporto si annoverano:

  • infortunio sul lavoro certificato dall’Inail dovuto alla colpa del datore di lavoro;
  • congedo per lavoratori mutilati e invalidi civili per cure mediche entro i 30 giorni annui;
  • malattie determinate dalla gravidanza, indipendentemente dall’eventuale interruzione e dall’epoca gestazionale in cui avviene;
  • terapie salvavita per gravi patologie.

In quest’ultimo caso, dietro richiesta del dipendente, lo scorporo delle assenze dal comporto avviene soltanto dietro verificazione di entrambi i requisiti: la gravità della patologia cronica e l’effettuazione di terapie classificate come “salvavita o assimilabili”. Il problema è che la legge non individua in modo specifico malattie e terapie, anche perché sarebbe difficile, rimandando la definizione sostanzialmente ai CCNL e alle politiche aziendali.

Succede quindi che alcune cause di assenza, relative alle terapie o ai conseguenti effetti collaterali, siano talvolta esclusi da questa casistica e conteggiati ai fini del comporto. Secondo la giurisprudenza, dalla Corte di Cassazione ai tribunali ordinari, andrebbero invece escluse dal periodo di comporto le assenze relative a gravi malattie croniche, che però non pregiudicano totalmente la capacità lavorativa, per terapie e conseguenti effetti collaterali, indipendentemente da quanto previsto nel contratto e nel CCNL.

Si fa riferimento, in particolare, alle malattie oncologiche e alle cure necessarie ai lavoratori portatori di handicap. Il superamento del periodo di comporto, secondo l’orientamento dei tribunali, per le casistiche non espresse dalla contrattazione non dovrebbe comunque essere eccessivo, tale da pregiudicare le esigenze lavorative.

Evitare il licenziamento

Per quanto la giurisprudenza sia abbastanza concorde sul punto, non si tratta di una regola fissa ma di una mera possibilità di poter vincere un eventuale ricorso. Per evitare il licenziamento (soprattutto senza essere sicuri della sua illegittimità) bisogna quindi agire con anticipo, chiedendo al datore di lavoro il riconoscimento della propria patologia (grave e cronica) e delle relative terapie come salvavita da parte della Medicina legale.

Sarà ovviamente fondamentale allegare la documentazione comprovante lo stato di salute e la necessità di trattamenti. In caso di diniego ritenuto infondato si potrà quindi richiedere l’assistenza di un avvocato per ricorrere contro il giudizio dell’Asl. Nel caso in cui i medici competenti riconoscano la particolare gravità, invece, è il datore di lavoro a dover adeguare il trattamento e il calcolo del periodo di comporto alla particolare condizione di salute del dipendente. Quest’ultimo può altrimenti impugnare il licenziamento, illegittimo se dovuto al superamento del periodo di comporto.

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