Sai quali sono le norme che regolano l’orario di lavoro in Italia, quante pause spettano e come funzionano i riposi settimanali? Ecco una guida completa.
L’orario di lavoro è definito come il tempo in cui il lavoratore si trova a disposizione dell’azienda con l’obbligo di esercitare le proprie mansioni o funzioni.
Affinché si possa parlare di orario di lavoro non è necessaria la presenza fisica in sede: anche le ore svolte in modalità agile, o smart working, rientrano a pieno titolo in questa definizione, a condizione ovviamente che il lavoratore stia effettivamente svolgendo la sua attività.
A regolamentare la materia è il Decreto legislativo n. 66 del 2003 (di cui trovate il testo completo in allegato), che rappresenta il principale riferimento normativo in Italia in tema di orario di lavoro in Italia. Con questo, viene data attuazione alle direttive europee 93/104/CE e 2000/34/CE, superando la precedente legge n. 196 del 1997, nota anche come «legge Treu». Con l’adozione di questa normativa, il legislatore ha quindi introdotto regole armonizzate a livello europeo che disciplinano l’organizzazione del tempo di lavoro, con particolare attenzione al rispetto dei tempi di recupero psico-fisico del lavoratore.
Nel dettaglio, la direttiva sull’orario di lavoro in Italia stabilisce, tra le altre cose, che ogni lavoratore ha diritto a un periodo minimo di riposo giornaliero pari a 11 ore consecutive ogni 24 ore e a un riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, da cumulare con il riposo giornaliero. Inoltre, nei casi in cui l’orario lavorativo superi le 6 ore consecutive, il lavoratore ha diritto a una pausa adeguata, finalizzata al recupero delle energie e alla tutela della salute. La durata media dell’orario settimanale, infine, non può eccedere le 48 ore, inclusi gli straordinari, calcolate su un periodo di riferimento che può arrivare fino a 4 mesi.
Qualsiasi periodo che non rientra in questo perimetro definito dall’orario di lavoro viene considerato tempo di riposo, e quindi non può essere computato come attività lavorativa né in termini retributivi né di obblighi prestazionali.
Attenzione però perché accanto alla normativa nazionale giocano un ruolo essenziale anche i contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) e i contratti individuali, che possono intervenire a disciplinare specifiche modalità di applicazione dell’orario di lavoro. Tuttavia, è importante sottolineare che eventuali previsioni contrattuali possono solo migliorare le condizioni previste dalla legge e mai derogarle in senso peggiorativo.
Ad esempio, un contratto collettivo può riconoscere pause più lunghe, maggiori giorni di riposo, oppure un limite orario settimanale inferiore a quello massimo stabilito per legge.
Per questo motivo, al fine di comprendere nel dettaglio le regole applicabili al proprio caso, è fondamentale non limitarsi alla lettura della normativa generale, ma consultare anche il contratto collettivo di categoria applicato al proprio rapporto di lavoro. È qui, infatti, che potrebbero essere contenute indicazioni specifiche sul calcolo dell’orario effettivo, sulla disciplina del lavoro notturno e dello straordinario, così come sui diritti relativi alle pause e ai riposi compensativi.
Prima di scendere nel dettaglio spiegando quali sono le regole per l’orario di lavoro in Italia, ricordiamo che il rispetto delle norme non è rimesso alla discrezionalità del datore di lavoro, in quanto si tratta, di disposizioni imperative a tutela della salute e della dignità del lavoratore. In caso di violazioni, è quindi possibile segnalare il comportamento scorretto all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, oppure rivolgersi a un ufficio vertenze sindacale o a un professionista legale specializzato in diritto del lavoro, al fine di far valere i propri diritti e ottenere un risarcimento per eventuali danni subiti.
Quante sono le ore di lavoro?
La legge distingue tra lavoro normale e lavoro straordinario.
Il primo è fissato in 40 ore settimanali, mentre ai contratti collettivi viene data la possibilità di modificarlo, prevedendo però una durata inferiore e mai superiore.
A tal proposito, qualora il lavoratore fosse assunto con orario di lavoro inferiore alle 40 ore settimanali si parlerà di contratto part-time.
Non sono tenuti a rispettare il limite legislativo delle 40 ore queste categorie di lavoratori:
- i giornalisti;
- il personale poligrafico addetto alle attività di composizione, stampa e spedizione di quotidiani e settimanali;
- il personale addetto ai servizi d’informazione radiotelevisiva;
- il personale delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, autostrade, servizi portuali e aeroportuali, trasporti pubblici, telecomunicazione, oltre che in altri settori di primaria importanza.
Al di fuori delle 40 ore settimanali si parla di lavoro straordinario, che in ogni caso non può comportare il superamento delle 48 ore settimanali. La durata media dell’orario di lavoro va calcolata con riferimento a un periodo non superiore a 4 mesi; tuttavia i CCNL delle specifiche categorie possono elevare detto limite fino a 6 mesi ovvero fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi.
Orario di lavoro: lavoratori esclusi dalla normativa
La normativa sull’orario di lavoro ordinario e straordinario non si applica alle seguenti categorie di lavoratori:
- dirigenti, personale direttivo o persone aventi potere di decisione autonomo;
- lavoratori a domicilio;
- telelavoratori;
- manodopera familiare;
- lavoratori del settore liturgico delle chiese e comunità religiose.
Periodo di riposo
Come visto sopra, l’orario di lavoro viene calcolato su base settimanale e non giornaliera. Tuttavia, esistono dei limiti anche per l’orario di lavoro giornaliero, poiché la normativa stabilisce che ogni singola giornata di lavoro non può eccedere le 13 ore, in quanto al dipendente vanno garantite almeno 11 ore consecutive di riposo giornaliero.
Inoltre:
- ogni 7 giorni si ha diritto a un riposo giornaliero della durata di almeno 24 ore consecutive.
- ogni anno si ha diritto a un periodo di ferie non inferiore a 4 settimane.
Come detto sopra, i contratti collettivi possono intervenire modificando le seguenti regole, ma solo prevedendo un trattamento di maggior tutela in favore del lavoratore.
Diritto alla pausa
Durante l’orario di lavoro il dipendente ha diritto anche a delle pause. Ad esempio, chi è impiegato per più di 6 ore al giorno ha diritto a una pausa di almeno 10 minuti.
Regole particolari sono previste per altre categorie di lavoratori: ad esempio, il videoterminalista con orario di almeno 20 ore settimanali ha diritto a fermarsi 15 minuti ogni 2 ore. In quel caso, però, durante tale periodo potrebbe essere incaricato di svolgere altre mansioni.
Come funziona il lavoro straordinario
Passiamo ora al lavoro straordinario cioè quello eccedente il normale orario di lavoro (quindi oltre le 40 ore settimanali). Come detto poc’anzi, gli straordinari sono ammessi fermo restando il limite delle 48 ore a settimana.
Gli straordinari - come indica il nome stesso - sono ore di lavoro in più che eccedono dal vincolo contrattuale tra datore e dipendente, per questa ragione meritano una retribuzione ulteriore secondo le maggiorazioni indicate nel contratto collettivo della categoria a cui si appartiene.
In genere le modalità del lavoro straordinario sono indicate dai sindacati, ma in caso contrario trovano applicazione le norme generali: la legge prevede che il ricorso al lavoro straordinario è ammesso solo previo accordo con il lavoratore e per un periodo non superiore a 250 ore all’anno.
Ogni regola conosce le sue eccezioni, anche quella sul lavoro straordinario che, in via eccezionale, è sempre ammesso a prescindere dall’accordo e dal monte ore nelle seguenti ipotesi:
- eccezionali esigenze tecnico - produttive, con impossibilità di fronteggiarle mediante l’assunzione di altri lavoratori;
- casi di forza maggiore o tali per cui la mancata esecuzione di lavoro straordinario possa dar luogo a un pericolo grave e immediato, o un danno alle persone o alla produzione;
- eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva, ovvero allestimento di prototipi o modelli predisposti per le stesse.
L’orario di lavoro notturno
Per lavoro notturno si intende l’attività svolta per almeno 7 ore consecutive tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Facciamo alcuni esempi: è classificato lavoro notturno il turno dalle 22.00 alle 5.00 e anche dalle 24.00 alle 7.00 o dalle 23.00 alle 6.00.
Secondo la legge il lavoro notturno non può mai superare le 8 ore consecutive a partire dall’inizio della prestazione. Il Ministero del Lavoro ha chiarito che per calcolare tale limite bisogna effettuare una media tra le ore lavorate e non lavorate, anche su un periodo settimanale e che il rapporto deve essere pari ad un terzo.
Secondo la normativa è lavoratore notturno colui che svolge la propria attività durante il periodo notturno:
- per almeno tre ore al giorno in modo abituale e continuativo (lavoratore notturno orizzontale);
- per almeno tre ore per almeno 80 giorni lavorativi nell’arco di un anno.
Il lavoro notturno, come quello straordinario, dà diritto a una retribuzione maggiore la quale viene stabilita nel Ccnl.
Vi sono poi delle categorie di lavoratori che per legge non possono mai coprire turni notturni, precisamente:
- le donne in gravidanza;
- minori di 18 anni;
- lavoratrici madri con prole di età inferiore a 3 anni, oppure il lavoratore padre in alternativa alla madre;
- lavoratrice/lavoratore che sia l’unico genitore affidatario fino al compimento del 12°anno di età del bambino;
- lavoratrici o lavoratori con a carico un soggetto che rientra tra quelli indicati dalla Legge 104.
Che succede se il datore di lavoro non rispetta l’orario di lavoro
Se datore di lavoro non rispetta regole e limiti imposti dalla legge in merito all’orario lavorativo può incorrere in pesanti sanzioni.
Ad esempio, se non verrà rispettato il limite delle 48 ore settimanali il datore di lavoro andrà incontro alle seguenti sanzioni amministrative:
- da 200 a 1.500 €, se la violazione ha riguardato fino a 5 lavoratori o si è verificata in meno di 3 periodi di riferimento;
- da 800 a 3.000 €, se la violazione ha riguardato da 6 a 10 lavoratori o si è verificata in almeno 3 periodi di riferimento;
- da 2.000 a 10.000 € e non è ammesso il pagamento in misura ridotta, se la violazione ha riguardato più di 10 lavoratori o si è verificata in almeno 5 periodi di riferimento.
Nel caso in cui il dipendente ha lavorato per 7 giorni consecutivi, quindi senza riposo settimanale, al lavoratore spetterà il riposo compensativo.
La giurisprudenza ha stabilito che nel caso in cui al lavoratore non venga riconosciuto il riposo compensativo il datore di lavoro sarà costretto a provvedere:
- alla retribuzione, con le relative maggiorazioni connesse alla maggiore penosità della prestazione;
- al risarcimento del danno subito a causa dell’usura psico-fisica che il lavoro nel settimo giorno comporta, e ciò, naturalmente, a un titolo del tutto autonomo rispetto a quello del compenso per la maggiore “penosità” del lavoro.
Ferie
Concludiamo poi con un tema tanto caro al lavoratore: il diritto alle ferie.
Le ferie aziendali sono un diritto irrinunciabile del lavoratore, sancito dall’art. 36 della Costituzione, dall’art. 2109 del Codice Civile e dal D.lgs. 66/2003 dove viene stabilito che ogni dipendente ha diritto ad almeno 4 settimane di ferie retribuite all’anno, di cui 2 devono essere fruite entro l’anno di maturazione, mentre le restanti entro i 18 mesi successivi.
Le ferie hanno lo scopo di tutelare la salute del lavoratore e permettergli il recupero psico-fisico. La loro fruizione va concordata tenendo conto delle esigenze aziendali e personali, ma è il datore di lavoro a fissarne il periodo, comunicandolo tempestivamente. La monetizzazione è vietata, salvo eccezioni, e il mancato rispetto delle regole può comportare sanzioni e richieste di risarcimento.
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