Guerra in corso e censure estreme fanno sì che centinaia di migliaia di persone non abbiano mai sentito parlare del coronavirus
Sebbene sia difficile da immaginare, esiste un Paese che non ha mai sentito parlare del coronavirus. Centinaia di migliaia di persone, costrette a vivere nel bel mezzo dei feroci combattimenti nell’estremo occidente del Myanmar, potrebbero non sapere nulla di COVID-19.
L’estrema censura sul territorio fa sì che internet sia inaccessibile da almeno un anno in nove comuni della zona. A giugno del 2019 infatti il governo del Myanmar, guidato dal consigliere di stato Aung San Suu Kyi, ha interrotto l’accesso a internet in gran parte del territorio a causa dei timori che venisse utilizzato per infiammare gli scontri tra esercito e insorti.
Uno dei comuni ha ripristinato il servizio a maggio, ma gli altri otto - che messi insieme totalizzano una popolazione di 800.000 persone - restano in un completo blackout informativo.
Human Rights Watch e Amnesty International hanno più volte lanciato l’allarme: guerra e blocco di internet stanno mettendo a rischio molte vite, non solo per l’impossibilità di denunciare violazioni dei diritti umani, ma perché le taglia fuori da ogni tipo di informativa pubblica sulla pandemia di coronavirus.
Il Paese che non ha mai sentito parlare del coronavirus
Secondo Linda Lakhdhir, consulente legale per l’Asia di Human Rights Watch, molte aree del Myanmar sono state private di ogni mezzo informativo proprio nel momento di maggior bisogno:
“Con il conflitto armato tra l’esercito del Myanmar e l’esercito di Arakan nello stato di Rakhine e nel bel mezzo di una pandemia, è fondamentale ottenere le informazioni necessarie per rimanere al sicuro”.
A inizio settimana il Myanmar ha registrato 6 morti e 292 casi positivi sugli oltre 64.532 test, secondo quanto diffuso dal Ministero della Salute del Myanmar.
Diversi casi appartengono ai Comuni di Maungdaw e Buthidaung, nello stato del Rakhine settentrionale, dove oltre 100.000 musulmani rohingya vivono in campi affollati.
Molti sono fuggiti dalle cosiddette “operazioni di sgombero”, lanciate dai militari contro gli insorti dei Rohingya nel 2018. Le Nazioni Unite hanno chiesto ai militari del Myanmar di affrontare un tribunale internazionale con l’accusa di genocidio per le atrocità perpetrate dai musulmani Rohingya.
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Myanmar: l’incubo guerra e coronavirus
Mentre la pandemia di coronavirus si diffondeva in tutto il mondo a inizio anno, il governo di Suu Kyi lanciava la campagna di informazione: «No Person Left Behind».
Mirava a dare garanzie in fatto di prevenzione sul territorio, introducendo ad esempio elementi come il distanziamento sociale.
Ma il parlamentare Htoot May, che rappresenta l’Arakan National League for Democracy nel parlamento del Myanmar, ha evidenziato come molte persone a nord dello stato di Rakhine e nel vicino stato di Chin non stiano ricevendo nessuna comunicazione di salute pubblica diffusa tramite Facebook, app di messaggistica e siti web governativi:
Nel suo recente intervento in parlamento, May ha sottolineato un concetto cruciale: molte persone non hanno paura del coronavirus perché non lo conoscono:
“Quando chiedo alle persone nel mio collegio elettorale se sono a conoscenza del coronavirus, mi ritrovo a dover raccontare loro la pandemia sin dall’inizio. Devo spiegargli cos’è il distanziamento sociale e come igienizzare correttamente le mani. La verità è che qui le persone non hanno paura del coronavirus perché non lo conoscono. In questa fase sono molto più preoccupati per gli scontri in corso”.
I combattimenti sono scoppiati alla fine del 2018 tra l’esercito del Myanmar, noto come Tatmadaw, e l’esercito di Arakan, in lotta per una maggiore autonomia a beneficio dei buddisti rakhine, che sono maggioranza nello stato di Rakhine.
Mentre la guerra infuria, la chiusura di internet ha provocato un numero maggiore di morti tra i civili, negando alle persone informazioni in tempo reale.
Come molte altre nazioni, il Myanmar ha introdotto coprifuoco, divieto di raduni e un periodo di quarantena per gli arrivi dall’estero, nel tentativo di controllare la diffusione dei contagi.
Ma al momento per una grossa fetta di popolazione resta completamente all’oscuro del fatto che sia in corso una pandemia.
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