Per chi si approccia al mondo del lavoro, è maggiormente conveniente scegliere la strada del lavoro dipendente o quella della partita Iva? In quale modo si guadagna di più?
Partita Iva o lavoro dipendente, in quale modo si guadagna di più? Per chi si approccia al mondo del lavoro, ma anche per chi vuole cambiare strada, un dilemma è rappresentato proprio dalla scelta tra lavoro dipendente e autonomo. In entrambi i casi ci sono sia pro che contro che il diretto interessato dovrebbe saper valutare prima di compiere una scelta mettendo sul piatto della bilancia diversi elementi che potrebbero cambiare non solo il guadagno stesso, ma anche la sua percezione.
Non è facile stabilire se si guadagna di più come lavoratori dipendenti o come autonomi, visto che dipende dal tipo di tassazione scelto con la partita Iva e anche dalle condizioni di lavoro e dalla propria predisposizione personale.
La cosa migliore da fare, prima di prendere una decisione di questa portato è quella di informarsi su vantaggi e svantaggi di entrambe le modalità di lavoro, dal punto di vista pratico, per quel che riguarda gli adempimenti fiscali e non tralasciando, ovviamente, la questione contributiva.
Un lavoratore autonomo con la partita IVA può lavorare (e quindi fatturare) molte più ore di un dipendente, questo è certo, ma il conteggio della convenienza di un lavoro rispetto all’altro andrebbe fatto a parità di mansione svolta e a parità di ore lavorative. In ogni caso, sul piatto della bilancia finale vanno messe cose che non hanno un prezzo, ma un valore, come il tempo libero da dedicare ad attività che non siano prettamente lavorative, le ferie e le malattie pagate.
Insomma, oltre allo stipendio (e al compenso) ci sono altre questioni, come le responsabilità da prendersi, o la libertà di decidere se quando e come lavorare, definendo gli orari e organizzando il lavoro in base alle proprie esigenze.
Detto ciò, vediamo chi potrebbe guadagnare di più tra una partita IVA e un dipendente.
Come si calcola lo stipendio di un lavoratore dipendente
Naturalmente non tutti i dipendenti guadagnano lo stesso stipendio. La cifra finale in busta paga dipende:
- dal CCNL di appartenenza del proprio settore;
- dal livello di inquadramento del dipendente;
- dai minimi salariali.
Alcuni CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) per esempio prevedono anche la quattordicesima mensilità, mentre altri solo la tredicesima.
Ma avere un contratto da lavoratore dipendente significa anche che il datore di lavoro svolge il ruolo di sostituto d’imposta: significa che tutti gli adempimenti pratici spetteranno a lui/lei. Il lavoratore vedrà direttamente in busta paga il pagamento delle tasse e dei contributi previdenziali, così come gli assegni familiari e le detrazioni.
Dal cedolino paga mensile, il dipendente può vedere:
- quanto ha pagato di IRPEF;
- la quota dei contributi previdenziali (a carico del datore di lavoro);
- eventuali contributi ad altri Fondi previdenziali se si è iscritti a delle Casse Professionali o di assistenza sanitaria integrativa, se prevista dal CCNL.
Queste voci, sommate, concorrono alla retribuzione lorda mensile: tolte queste, il dipendente vedrà a quanto ammonta il suo stipendio netto.
Pro e contro del lavoro dipendente
Uno dei vantaggi principali del lavoro dipendente è la sicurezza dell’importo dello stipendio mese dopo mese: un lavoratore dipendente, infatti, è sempre a conoscenza (a grandi linee) di quale sarà la retribuzione che gli spetta.
Il dipendente, quindi, può contare su delle certezze che sono:
- stipendio mensile (che in caso di crisi aziendali è garantito in parte anche con la cassa integrazione). Non ci sono sorprese sugli incassi che si avranno nel corso dell’anno;
- diritto a tredicesima, in alcuni casi alla quattordicesima;
- diritto a ferie pagate;
- diritto a malattia pagata;
- a giorni di festa retribuiti;
- diritto, se vi rientra, anche all’ex bonus Renzi e allo sgravio contributivo;
- alla cessazione del rapporto di lavoro si può contare sul Tfr e in caso di licenziamento sull’indennità di disoccupazione.
I contro, però, sono che:
- deve rispettare orari e richieste del datore di lavoro;
- non può decidere di non lavorare senza avvisare;
- lo stipendio resta sempre uguale, indipendentemente dalle performance;
- per avere stipendio più alto è necessario lavorare ore straordinarie.
Partita IVA: vantaggi e svantaggi
Per i lavoratori autonomi, o freelance, che aprono la partita IVA, la situazione è completamente diversa.
Non ci sono CCNL di riferimento, ma si stabilisce un compenso col proprio cliente o con il proprio committente, dopo aver presentato un preventivo, in cui di solito si calcolano le ore di lavoro stimate per consegnare il progetto, oppure se il tipo di lavoro prevede più elementi (come un pacchetto di prodotti o servizi) ci si può accordare per una cifra forfettaria.
Dal punto di vista pratico, però, deve essere il titolare di partita IVA a pagare da solo sia le tasse allo Stato che i contributi al proprio Ente previdenziale di riferimento.
Si deve tenere conto, in ogni caso, che il lavoratore autonomo ha dei vantaggi non indifferenti rispetto al lavoratore dipendente:
- nessun vincolo di subordinazione con il committente;
- decide da solo i suoi orari di lavoro e può anche scegliere autonomamente di non lavorare affatto un determinato giorno;
- decide da solo (ovviamente il committente dovrà accettare il preventivo o la richiesta) il compenso da chiedere;
- non è vincolato a un solo committente, ma può scegliere di lavorare per quello che paga meglio;
- svolge il proprio lavoro in autonomia, senza dover per forza essere presente nella sede di lavoro: non è vincolato a orari né a luoghi.
Ovviamente, rispetto al lavoro dipendente, ci sono anche degli svantaggi per chi lavora con partita Iva:
- nessuna sicurezza nel numero di «lavori» da svolgere nel corso dell’anno;
- nessuna sicurezza delle entrate mese dopo mese;
- non ci sono ferie pagate, i giorni che non si lavora non si guadagna nulla;
- non c’è malattia pagata, se si sta male e non si lavora non si guadagna nulla;
- non si può contare su una indennità di disoccupazione se si resta senza lavoro (c’è l’Iscro, ma è destinata solo a casi particolari che rispettano determinati requisiti di reddito);
- non c’è un Tfr quando si decide di smettere di lavorare;
- non c’è tredicesima, quattordicesima o premi di risultato;
- non ci sono festività pagate;
- dai compensi si devono sottrarre le tasse e i contributi;
- si deve sostenere la spesa di un commercialista per gli adempimenti fiscali se non si è in grado di provvedere in autonomia.
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La flat tax per le partite IVA
Volendo tirare le somme, il lavoratore dipendente non può guadagnare sotto una certa cifra, stabilita dai minimi salariali del proprio CCNL di riferimento, ed è il suo datore di lavoro a occuparsi della parte fiscale e contributiva.
Un lavoratore con la partita IVA, invece, dovrà occuparsi di pagare le tasse e i contributi (ci si affida, di solito, a un commercialista di fiducia, che costituisce quindi un costo aggiuntivo). Se da un lato non ci sono limiti a quanto fatturare, dall’altro bisogna avere l’accortezza di mettere da parte le somme da versare come tasse e contributi.
Il vero asso nella manica delle partite IVA, però, è la flat tax, cioè il regime di tassazione agevolata al 15% (che in alcuni casi scende anche al 5%) per ricavi e compensi fino a 65.000 euro di ricavi e compensi. In pratica, viene applicata una tassa secca del 15% (o del 5%) non sull’intero fatturato, ma solo sui ricavi e compensi.
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