Quanti dubbi per il futuro delle pensioni: Opzione donna, Quota 103 e Ape sociale sono in bilico. Ecco quali sono le probabilità di una conferma per il prossimo anno.
Ci sono molte incognite per il futuro delle pensioni, ragion per cui oggi è impossibile pianificare la propria uscita dal mercato del lavoro. Sappiamo che il prossimo anno si potrà sicuramente andare in pensione a 67 anni con la pensione di vecchiaia, oppure con 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le lavoratrici) grazie alla pensione anticipata: ma le certezze finiscono qui in quanto il governo dovrà sciogliere le riserve sulle eventuali possibilità di andare in pensione con 58, 62 e 63 anni.
Si tratta di tre misure differenti - rispettivamente Opzione donna, Quota 103 e Ape sociale - ma con lo stesso destino: per nessuna delle tre, infatti, l’epilogo è scritto visto che sono in scadenza alla fine dell’anno. Spetterà al governo Meloni valutare se esistono i presupposti per una conferma e molto dipenderà dalle risorse a disposizione - che non dovrebbero essere molte - per la riforma.
Secondo le ultime indiscrezioni, comunque, sembra che l’epilogo non sarà lo stesso: solo una delle tre, infatti, è quasi certa di essere confermata, mentre per le altre due il futuro è ancora tutto da scrivere.
Ape sociale verso la conferma
Ape sociale ha dalla sua parte il fatto che si rivolge solamente alle categorie di lavoratori fragili. Disoccupati di lungo periodo, invalidi, chi ha carichi di cura e coloro che per la maggior parte della carriera hanno svolto lavori gravosi.
È a questi che si rivolge il cosiddetto anticipo pensionistico, misura introdotta dall’ultimo governo di Centrosinistra (Letta, Renzi e Gentiloni) e confermata da quelli a seguire visto che in ogni parte politica è stato ritenuto necessario riconoscere una maggior tutela per chi appartiene alle suddette categorie.
Nel dettaglio, grazie all’Ape sociale si può anticipare l’uscita dal lavoro a 63 anni e nel periodo che separa il lavoratore dall’effettivo pensionamento spetterà un’indennità sostitutiva di cui si farà carico lo Stato. Il tutto a patto di aver raggiunto almeno 30 anni di contributi, che diventano 36 nel caso dei lavoratori gravosi.
Nonostante piaccia a tutti, Ape sociale oggi non è ancora una misura strutturale, ragion per cui serve che il governo di turno ogni anno stanzi le risorse per una conferma. Il governo Meloni non si è risparmiato nel farlo con la legge di Bilancio 2023, ma adesso dovrà decidere il da farsi per il prossimo anno: considerando che non sembrano esserci le condizioni per una riforma strutturale che stravolga completamente il sistema previdenziale, è molto probabile che l’esecutivo ripartirà da quelle misure che già ci sono, non rinunciando così all’Ape sociale che tra le tre ha le maggiori probabilità di conferma.
Quota 103 soluzione di ripiego di Quota 41
Da tempo il Centrodestra, in particolare su sponda Lega, ha messo nel mirino l’estensione di Quota 41, così da consentire a ogni lavoratore di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica al raggiungimento dei 41 anni di contributi.
Nell’attesa di riuscirci, o meglio di trovare le risorse per farlo, si è deciso di puntare su Quota 103, misura che al pari di Quota 41 consente il pensionamento anticipato a coloro che hanno maturato 41 anni di contributi ma differentemente prevede anche un requisito di tipo anagrafico, pari a 62 anni. Rispetto alla pensione anticipata, quindi, c’è uno “sconto” di 1 anno e 10 mesi per gli uomini, di 10 mesi per le donne.
Anche Quota 103 per il momento è limitata al 2023 e il suo destino è legato a quello di Quota 41 per tutti: laddove il governo non dovesse trovare le risorse per portare a compimento il suo piano di riforma - superando la legge Fornero almeno per la parte che riguarda la pensione anticipata - è probabile che decida di confermare ancora per un altro anno Quota 103.
I nodi verranno sciolti nelle prossime settimane, quando dovrebbe riprendere il confronto tra governo e sindacati così da arrivare a un accordo in tempo per lo stanziamento delle risorse necessarie con la nota di aggiornamento del Def.
E Opzione donna?
Nei giorni scorsi il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha ammesso di “non essere un fan di Opzione donna”, strumento che di fatto consente sì alle lavoratrici di anticipare l’accesso alla pensione fino ai 58 anni di età ma che allo stesso tempo le “obbliga” a un ricalcolo interamente contributivo della pensione che ne comporta una penalizzazione sull’assegno.
Se a ciò sommiamo che la platea di Opzione donna è già stata ristretta a poche centinaia di lavoratrici nel 2023, a causa delle modifiche apportate in manovra, è logico dedurre che il destino di questa misura sembra essere ormai scritto.
Oggi ne possono accedere quelle lavoratrici - poche - che ne hanno maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2022: difficile che questo termine possa essere rinviato al 31 dicembre 2023, ancora di più il ritorno alle vecchie condizioni. Ricordiamo, infatti, che fino al 31 dicembre 2021 l’accesso a Opzione donna era consentito a coloro che soddisfavano di concerto questi due requisiti:
- 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti, 59 anni per le autonome;
- 35 anni di contributi.
Con la legge di Bilancio 2023 il requisito anagrafico è stato portato a 60 anni per tutte, con la possibilità di riduzione di 1 anno (ma per un massimo di 2) per ogni figlio. Resta il requisito dei 35 anni di contributi, ma ciò che ne ha limitato fortemente l’accesso è stato l’aver riservato Opzione donna alle sole lavoratrici invalide, con carichi di cura, oppure licenziate (o impiegate in aziende in crisi).
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