Riforma delle pensioni, non ci sarà il ritorno alla legge Fornero. Ma le soluzioni pensate non andranno a stravolgere il sistema pensionistico italiano.
Il dibattito sulla riforma delle pensioni procede a rilento e per questo motivo i sindacati cominciano a temere, per loro stessa ammissione, un ritorno della legge Fornero. Ma si tratta di un semplice gioco delle parti: come i sindacati sicuro sapranno, infatti, oggi la legge Fornero già regola la maggior parte degli accessi alla pensione, in quanto è la riforma del 2011 ad aver fissato le regole per pensione di vecchiaia e anticipata.
Quando si parla di “ritorno alla legge Fornero”, quindi, bisogna specificare a cosa si riferisce così da evitare di lanciare allarmismi che possono solamente generare confusione.
Nel dettaglio, i sindacati lamentano una mancata soluzione per quelle misure di flessibilità che hanno il compito di “ammorbidire” le regole imposte dalla Fornero consentendo a chi soddisfa determinati requisiti di andare in pensione con leggero anticipo. Possiamo catalogare come tali misure come la nuova Quota 103, introdotta appositamente nel 2023 per consentire a coloro che hanno raggiunto i 41 anni di contributi - e almeno i 62 anni di età - di poter anticipare di qualche anno l’accesso alla pensione, così come pure l’Ape sociale (anticipo pensionistico a 63 anni di età e 30 anni di contributi) e Opzione donna (60 anni di età e 35 anni di contributi).
Ebbene, c’è un fattore che accomuna tutte queste tre misure: il loro futuro è in bilico in quanto non ci sono certezze riguardo a una conferma nel 2024. È logico, quindi, che senza queste misure che nell’ultimo periodo hanno contribuito a rendere maggiormente flessibile il sistema pensionistico, si potrebbe parlare di ritorno - integrale - della legge Fornero.
Un termine che “spaventa” ancora le masse, utilizzato appositamente dai sindacati per smuovere quel sentimento popolare anche in vista di un minacciato - ma ancora non programmato - sciopero generale.
Ma come probabilmente le stesse parti sociali sanno, alla fine un accordo si troverà anche se difficilmente accoglierà la richiesta di anticipare il pensionamento fino a 62 anni di età, oppure con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.
Perché non ci sarà il ritorno integrale alla legge Fornero
Un 2024 senza riforma delle pensioni rappresenterebbe un suicidio politico per il Centrodestra. D’altronde appena un anno fa Matteo Salvini prometteva “barricate” nel caso di ritorno della legge Fornero (allora c’era ancora il governo Draghi), figuriamoci se adesso accetterebbe un tale danno d’immagine.
Il ritardo di questi mesi, con i sindacati che lamentano che nonostante quattro incontri sulla riforma non sono state avanzate ancora proposte risolutive, è motivato dal fatto che l’Esecutivo non sa quanto effettivamente può essere il capitolo di spesa dedicato alle pensioni nella prossima legge di Bilancio.
L’ultimo dato è quello del Def approvato nell’aprile scorso, nel quale non c’erano risorse per il capitolo previdenziale. A queste condizioni, quindi, pensare a una riforma delle pensioni non sembra essere possibile a meno che non ci saranno tagli alla spesa pubblica capaci di finanziarla.
A tal proposito, l’attenzione si sposta alla fine di settembre, quando verrà approvata la nota di aggiornamento al Def, ultimo importante passaggio in vista dell’inizio dei lavori per la manovra finanziaria. In quell’occasione si saprà quanto effettivamente ci sarà a disposizione per la riforma delle pensioni e per la conferma delle misure di flessibilità che impediranno il ritorno alla legge Fornero. La sensazione è che qualcosa si farà, ma nulla di eclatante.
Pensioni, allarme spoiler: come verrà evitato il ritorno alla Fornero
L’obiettivo dichiarato dal governo è estendere a tutti la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi. In tal caso si tratterebbe di qualcosa in più di una misura di flessibilità in quanto si andrebbe a intervenire sulla legge Fornero stessa rivedendo il requisito contributivo oggi richiesto (42 anni e 10 mesi di contributi, uno in meno per le donne) per la pensione anticipata.
Ma Quota 41 per tutti costa troppo e come visto sopra le risorse a disposizione oggi sono pari a zero.
Ecco che quindi la soluzione di comodo per riconoscere comunque flessibilità ma al tempo stesso senza mettere a rischio i conti è quella che porta alla conferma per un altro anno di Quota 103, misura che consente sì il pensionamento con 41 anni di contributi ma solo per chi ha compiuto almeno i 62 anni di età. Più lontana l’ipotesi di un’estensione di Quota 41 per tutti ma con ricalcolo contributivo, visto che comporterebbe una penalizzazione sull’assegno alla quale i sindacati si sono fermamente opposti.
Per quanto riguarda l’Ape sociale, misura che oggi ha il vanto di tutelare i cosiddetti fragili (in quanto vi possono accedere disoccupati, invalidi, caregiver e usuranti), la scadenza del 31 dicembre 2023 verrà certamente prorogata. E non è tutto, perché proprio per tutelare un maggior numero di persone potrebbe esserci l’estensione a nuove professioni considerate gravose.
Il capitolo più spinoso è sicuramente Opzione donna, già oggi molto diversa da come era stata pensata in origine. Con le novità introdotte dalla legge di Bilancio 2023, infatti, l’accesso a Opzione donna è stato limitato a poche persone, in quanto oltre a spostare l’età anagrafica da 58 a 60 anni ne è stato riservato l’utilizzo alle donne con invalidità, con carichi di cura oppure licenziate. Difficilmente ci sarà un ritorno al passato, più probabile un compromesso: ad esempio, si potrebbe comunque mantenere l’età anagrafica a 60 anni, estendendo però nuovamente a tutte la lavoratrici la possibilità di accedere a tale misura.
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