Pensioni, è caos: aumenta l’età anagrafica ma diminuiscono gli assegni

Antonio Cosenza

16/06/2020

Pensioni, cominciano a farsi sempre più tangibili gli effetti delle riforme del passato. Per coloro che pensano di andare in pensione nei prossimi anni non ci sono buone notizie.

Pensioni, è caos: aumenta l’età anagrafica ma diminuiscono gli assegni

Pensioni: il futuro per gli italiani è sempre meno roseo.

In queste settimane, tra indiscrezioni e ufficialità, non ci sono state buone notizie per coloro che sperano di andare in pensione nei prossimi anni e con un assegno adeguato alle spese che dovranno affrontare. Si fanno sempre più tangibili, infatti, gli effetti delle riforme approvate gli scorsi anni al fine di rendere il sistema pensionistico italiano più sostenibile: è per questo motivo che da un prospetto sui prossimi anni ne risulta che i lavoratori italiani andranno in pensione sempre più tardi (già dal 2023 ci sarà un nuovo balzo in avanti per l’età pensionabile) e con un assegno che sarà sempre più basso (già dal prossimo anno).

In parte la causa è del COVID-19 e delle ripercussioni sulla nostra economia, ma in primis quanto sta per accadere dipende dalle riforme attuate in passato.

L’emergenza epidemiologica da COVID-19, infatti, non farà altro che accentuare quanto stabilito dalle politiche del passato, come ad esempio dalla riforma Dini che ha legato la rivalutazione annuale dei contributi maturati dai lavoratori all’andamento del PIL.

E al momento non sembrano esserci le condizioni - o meglio, le risorse - affinché il Governo possa intervenire per rivedere le pensioni, con la riforma su cui si stava discutendo prima dello scoppio della pandemia che sembra essere stata messa in cantiere.

Pensioni: assegni sempre più bassi, i tagli spaventano i lavoratori

Come confermato dal Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, l’emergenza da COVID-19 avrà un impatto considerevole sul PIL italiano. Si parla di un -8%, un dato che avrà ripercussioni anche sugli assegni dei futuri pensionati.

Questo perché la riforma Dini prevede che i contributi versati dai lavoratori che rientrano nel regime contributivo vengano rivalutati annualmente moltiplicando il montante per il tasso di capitalizzazione; quest’ultimo è un coefficiente che si calcola tenendo conto della media del PIL degli ultimi cinque anni. È ovvio, quindi, che un calo del PIL come quello a cui assisteremo nel 2020 avrà delle conseguenze sul tasso di capitalizzazione il quale - per fortuna - non potrà essere in negativo ma comunque potrebbe attestarsi ad 1 per diversi anni. Di conseguenza per qualche anno potrebbe non esserci alcuna rivalutazione del montante contributivo.

Un montante contributivo più basso rispetto a quello atteso, così come pure il coefficiente che viene utilizzato per trasformarlo in assegno di pensione. In questi giorni, infatti, sono stati ufficializzati i nuovi coefficienti di trasformazione delle pensioni, i quali sono più bassi rispetto al passato: questo significa che chi andrà in pensione nel 2021 avrà un assegno più basso - in media - rispetto a chi ci è andato l’anno prima.

Insomma, per chi rientra nel regime contributivo (per il regime retributivo, invece, non ci sono particolari cambiamenti), il futuro non è roseo per quel che riguarda l’importo dell’assegno. E se guardiamo all’età in cui si andrà in pensione non si può essere più soddisfatti.

In pensione più tardi già dal 2023

Per il biennio 2021/2022 non è stata accertata alcuna variazione delle speranze di vita e per questo motivo non ci sarà un aumento dell’età pensionabile. Tuttavia, il meccanismo che adegua la data del pensionamento all’incremento delle aspettative di vita riprenderà regolarmente dal 2023: e in quel caso - stando alle ultime anticipazioni - una variazione al rialzo delle speranze di vita ci sarà e per questo motivo si andrà in pensione sempre più tardi.

Un meccanismo che garantisce sostenibilità al sistema pensionistico italiano ma che allo stesso tempo ci obbliga a lavorare per più anni per poter andare in pensione.

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