Pensioni: posso fare più soldi aggiungendo all’assegno pensionistico i redditi da lavoro? Solitamente sì, ma ci sono dei vincoli da rispettare.
Dopo essere andato in pensione ti sei reso conto che l’assegno è insufficiente per far fronte a tutte le spese quotidiane e allora stai pensando di riprendere a lavorare, come pure di aprire un’attività, così da poter incrementare l’entrata mensile. Oppure, semplicemente, stai vivendo una seconda giovinezza e ti sei reso conto che la vita da pensionato non fa per te e che è arrivato il momento di rientrare nel mercato del lavoro.
Se stai riflettendo sulla possibilità di fare più soldi aggiungendo alla pensione i redditi da lavoro è importante che tu sappia che ci sono comunque dei vincoli da rispettare, i quali variano a seconda della pensione da te percepita e dall’opzione alla quale hai fatto ricorso per smettere di lavorare.
Non esiste, infatti, una risposta uguale per tutti riguardo alla possibilità che i redditi da lavoro possano essere cumulati con quelli della pensione. A tal proposito, di seguito faremo chiarezza sulla compatibilità tra reddito da lavoro e le varie forme di pensione, indicando i limiti aggiornati al 2020, così da fare chiarezza su quando è possibile avere più soldi a fine mese senza andare ad intaccare sull’importo dell’assegno previdenziale.
Pensione di vecchiaia o anticipata: posso riprendere a lavorare?
Se sei andato in pensione ricorrendo ad una tra le opzioni di vecchiaia o anticipata, allora devi sapere che per te non sono previste decurtazioni dell’assegno nel caso in cui una volta collocato in quiescenza dovessi decidere di riprendere a lavorare così da avere più soldi.
Dal 1° gennaio 2009, infatti, i redditi da lavoro, sia come autonomo che da subordinato, sono interamente cumulabili con la pensione di vecchiaia e anticipata. Questo, però, vale solamente per coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 31 dicembre 1995, e quindi rientrano nel sistema misto o retributivo.
Per chi invece ha iniziato a lavorare dopo questa data, e quindi rientra nel sistema contributivo puro, il cumulo è possibile ma solo quando sussiste almeno una delle seguenti condizioni:
- gli uomini devono aver compiuto il 65° anno di età, le donne il 60°;
- l’interessato abbia maturato almeno 40 anni di contribuzione;
- contestualmente l’interessato abbia compiuto il 61° anno di età e maturato almeno 35 anni di contributi.
A queste condizioni, che generalmente soddisfano tutti i pensionati che hanno avuto accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata, è possibile cumulare interamente redditi da lavoro e pensione.
Ricordiamo che invece non è possibile aumentare le proprie entrate cumulando assegno pensionistico e redditi da lavoro quando si è andati in pensione con Quota 100. Per questa misura, infatti, il legislatore ha previsto la totale incompatibilità con i redditi da lavoro, almeno fino a quando il pensionato non raggiunge i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (quindi non prima dei 67 anni).
Pensione con Opzione Donna e cumulabilità con redditi da lavoro
Un discorso a parte lo merita Opzione Donna, la misura con cui alle lavoratrici viene data la possibilità di anticipare l’accesso alla pensione all’età di 58 anni e con 35 anni di contributi ma accettando un ricalcolo contributivo dell’assegno.
Proprio quest’ultimo aspetto ci porta ad una domanda: dal momento che con l’Opzione Donna l’assegno viene calcolato secondo le regole del regime contributivo, per riprendere a lavorare bisogna soddisfare le suddette condizioni? Il legislatore non ha fatto chiarezza in tal senso, ma va detto che la pensione liquidata secondo le regole di quello che ad oggi è ancora un regime sperimentale non è comunque conseguita nel contributivo puro. Per questo motivo sembra che si applichi quanto previsto per la pensione di vecchiaia o di anzianità raggiunta da coloro che rientrano nel regime retributivo o misto, ovvero con la possibilità che redditi da lavoro e pensione possano essere interamente cumulati tra di loro.
Pensioni di invalidità e cumulabilità con i redditi da lavoro
Nel caso dei titolari dell’assegno ordinario di invalidità, invece, è possibile cumulare l’importo dello stesso con redditi da lavoro ma non in misura piena.
Nel dettaglio, la normativa stabilisce che quando un titolare dell’assegno ordinario di invalidità riprende a lavorare, sia come autonomo che da subordinato, scattano le seguenti riduzioni dell’assegno:
- 25% se il reddito da lavoro supera 4 volte il trattamento minimo annuo. Questo ammonta a 515,07€ nel 2020, quindi ci riferiamo ai redditi superiori a 2.060,28€;
- 50% se il reddito supera di 5 volte l’importo del trattamento minimo, e quindi è sopra i 2.575,35€.
In ogni caso, l’assegno ordinario di invalidità viene anche decurtato quando il suo importo è superiore al trattamento minimo, ma solo nei casi in cui il pensionato abbia meno di 40 anni di contributi. Nel dettaglio, il taglio per chi lavora come dipendente è pari al 50% della quota eccedente il trattamento minimo fermo restando che la decurtazione non può superare il reddito stesso. Per i lavoratori autonomi, invece,il taglio è del 30%.
La riduzione, però, non scatta quando il lavoratore è impiegato con contratto a termine con durata non superiore alle 50 giornate nell’anno solare.
Scatta solamente la seconda riduzione, quindi quella per gli assegni che superano l’importo del trattamento minimo, per le altre prestazioni di invalidità riconosciute da alcuni fondi sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria.
Non vi è alcuna compatibilità, invece, tra i redditi da lavoro e la pensione di inabilità, in quanto coloro a cui questa viene riconosciuta sono impossibilitati a prestare attività lavorativa.
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