Salario minimo: vantaggi anche sulle pensioni. Il presidente dell’Inps fa notare che un tale provvedimento darebbe maggior respiro alle casse dello Stato.
Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, si è detto favorevole all’introduzione di un salario minimo in Italia, anche perché una tale misura andrebbe ad “aumentare le pensioni”. Un’affermazione che va spiegata, in quanto letta così può sembrare che parallelamente all’introduzione di un salario minimo ci sarà anche un aumento delle pensioni minime.
In realtà il presidente dell’Inps fa riferimento all’assioma per cui guadagnando di più ci saranno più contributi versati e di conseguenza una pensione futura più alta.
Se da una parte ci sono le aziende che si lamentano per il maggiore esborso di cui dovranno farsi carico qualora l’Italia dovesse adeguarsi alla direttiva europea introducendo una soglia minima di salario per ogni settore (si parla di 9 euro l’ora), dall’altra c’è il presidente dell’Inps che ne fa notare i vantaggi per il bilancio pubblico: con un salario minimo, infatti, per l’istituto ci sarebbero più entrate grazie ai maggiori versamenti contributivi, e allo stesso tempo sarebbe minore l’esborso per la spesa assistenziale visto che sempre meno persone farebbero richiesta di sostegni allo Stato.
L’introduzione del salario minimo in Italia, quindi, comporta vantaggi anche per la pensione: vediamo nel dettaglio perché e come questa misura potrebbe risolvere, almeno parzialmente, il problema delle pensioni future.
Cosa cambia con l’introduzione di un salario minimo in Italia
Qualora il governo dovesse decidere in favore dell’introduzione del salario minimo, come raccomandato dall’Unione europea, ci sarebbe per legge una soglia di retribuzione al di sotto della quale non si potrà mai andare, indipendentemente dal settore.
I contratti collettivi ovviamente potranno discostarsi dalla cifra indicata, ma solamente in meglio: in alcun caso, quindi, un lavoratore potrà guadagnare una cifra inferiore rispetto a quella individuata per il salario minimo (per il momento si discute su 9 euro l’ora).
È vero che oggi nella maggior parte dei contratti collettivi vengono fissati degli stipendi superiori alla soglia del salario minimo, ma non tutti i lavoratori hanno un contratto collettivo che li tutela. Tant’è che, secondo gli ultimi rilevamenti, un lavoratore su tre guadagna meno di 9 euro l’ora.
E lo dimostra il fatto che in Italia il fenomeno dei cosiddetti working poors, ossia di coloro che pur avendo un lavoro non percepiscono uno stipendio sufficiente da farli uscire dalla soglia di povertà, è ancora molto diffuso, tant’è che in alcuni casi anche chi lavora riesce ad accedere a misure per il sostegno del reddito come il reddito di cittadinanza.
Con l’introduzione del salario minimo tutto cambierebbe. Non ci sarebbero differenze per chi già oggi guadagna più della cifra che verrà individuata dalla legge: a trarne vantaggio saranno invece coloro che come visto percepiscono stipendi più bassi, i quali potranno giovare di un aumento perlomeno fino al raggiungimento della soglia minima prevista.
L’aumento di stipendio avvantaggia la pensione
Guadagnando di più si avrà anche diritto a una pensione d’importo più elevato. Tanto il calcolo retributivo quanto il contributivo, infatti, premiano - in diverso modo - chi ha guadagnato di più in carriera.
D’altronde, uno stipendio più alto corrisponde a un maggior versamento di contributi. E nel calcolo contributivo, introdotto dall’1 gennaio 1996, questi hanno un peso maggiore: i contributi versati, infatti, si accumulano ogni anno nel cosiddetto montante contributivo, il quale si trasforma in pensione grazie all’applicazione di un determinato coefficiente.
Un aumento di stipendio porterà dunque a un incremento del montante contributivo, con il vantaggio di una pensione più elevata. E a giovarne sarebbe anche l’Inps che, come detto sopra, potrà beneficiare di maggiori entrate nell’immediato.
Ecco quando vedremo le conseguenze del salario minimo sulle pensioni
Questo vantaggio si noterà specialmente nel lungo periodo. A beneficiarne, infatti, saranno specialmente coloro che hanno iniziato a lavorare da poco, i quali con tutta una carriera davanti trarranno sicuramente maggior vantaggio da un aumento di stipendio.
Basti pensare a chi oggi lavora con una paga di 7 euro l’ora, con un orario di lavoro di 40 ore settimanali (su 5 giorni) e uno stipendio (sempre settimanale) di 280 euro. Con l’aumento a 9 euro l’ora, la paga settimanale salirebbe a 360 euro, con conseguenze anche sul fronte dei contributi.
Considerando che sullo stipendio lordo viene versato il 33% a titolo di contributi per la pensione, ne risulta che nel primo caso per un anno di lavoro (52 settimane) si versano 4.804 euro di contributi, mentre nel secondo 6.177 euro.
Dopo 10 anni, ad esempio, staremo parlando di un montante contributivo di circa 61 mila euro, anziché 48 mila, e dopo altri 10 anni il margine sarebbe ancora più ampio.
Perché il salario minimo fa bene all’intero sistema
Il salario minimo potrebbe dunque risolvere, almeno in parte, il problema delle pensioni future. Da tempo, infatti, è in atto un dibattito per l’introduzione di una sorta di pensione di garanzia, per tutelare tutti quei giovani che a causa dell’introduzione del sistema di calcolo contributivo, ma anche per le difficoltà che sta attraversando il mercato del lavoro, rischiano di arrivare alla pensione non solo molto tardi ma anche con un assegno inadeguato.
Il salario minimo sarebbe, come visto sopra, un punto di partenza, in quanto perlomeno si fa in modo che chi lavora abbia diritto a un giusto stipendio accantonando contributi di maggior peso per quella che sarà la pensione futura.
Ma come accennato sopra, e come sottolineato dal presidente dell’Inps, a giovarne sarà l’intero sistema. Intervenendo in questa direzione, infatti, si farà in modo che avere un lavoro sarà per tutti sufficiente per guadagnare quanto necessario per uscire dalla soglia di povertà, con i lavoratori - e i futuri pensionati - che non avranno bisogno di rivolgersi all’Inps per chiedere misure di sostegno al reddito, come reddito di cittadinanza (adesso) e pensione di cittadinanza (poi).
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