Riforma delle pensioni, nella peggiore delle ipotesi addio flessibilità nel 2025.
C’è preoccupazione per quanto potrebbe succedere alle pensioni nel 2025, per quanto dal governo (in particolare dagli esponenti della Lega) arrivino rassicurazioni sul fatto che l’aspetto previdenziale non verrà utilizzato per fare cassa con la prossima legge di Bilancio.
La questione è cosa nota: nell’ultimo Documento di Economia e Finanza è stata certificata la mancanza di risorse rilevanti da destinare alla prossima manovra finanziaria. D’altronde, parte dal 2025 il piano che impone all’Italia di ridurre il proprio debito ogni anno, come stabilito dal nuovo Patto di stabilità Ue.
A tal proposito, chi segue con attenzione le dinamiche della riforma delle pensioni non ha fatto a meno di notare che se già la legge di Bilancio scorsa ha previsto dei tagli per la pensione, incrementando ad esempio l’età pensionabile per l’accesso all’Ape Sociale, figuriamoci cosa potrebbe succedere nel 2025 visto che le risorse a disposizione del governo dovrebbero essere ancora meno.
Ci siamo chiesti quindi se esistono davvero degli elementi di preoccupazione per quanto potrebbe succedere il prossimo anno. Da un’analisi ne è risultato che questa è la cosa peggiore che può succedere.
Cosa succede se il governo non ha i soldi per la riforma delle pensioni
Come prima cosa è bene sottolineare che per quanto non manchino gli scenari allarmistici per il futuro delle pensioni, per il 2025 non c’è alcun pericolo. Non rischiamo quindi di ritrovarci come è stato nel 2011, quando la crisi economica ha fatto sì che il governo Monti dovette autorizzare una riforma delle pensioni (firmata Elsa Fornero, allora ministra del Lavoro) per incrementare l’età pensionabile in Italia e mettere al sicuro i conti pubblici.
Non ci sarà, quindi, una nuova Fornero.
Anzi, nonostante le difficoltà nel trovare risorse, il governo non sembra aver ancora rinunciato alla possibilità di introdurre una nuova misura di flessibilità, estendendo a ogni lavoratore il diritto ad andarci con soli 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica. “Lavoriamo ancora a Quota 41”, ha spiegato il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, sottolineando però che tutto ciò sarà condizionato alle risorse a disposizione.
Ed è proprio quello il problema: a oggi il rischio è che senza tagli le risorse saranno molte meno rispetto a quelle dello scorso anno, dove su un totale di 24 miliardi di euro ben 16 miliardi furono ricavati facendo extra deficit. Il che non solo non sarà possibile il prossimo anno: il governo dovrà persino mettere mano al portafoglio per iniziare il suo piano di rientro dal debito.
A queste condizioni è complicato pensare a come il governo pensa di introdurre Quota 41: neppure un ricalcolo contributivo per chi vi ricorre sembra essere sufficiente per garantirne la sostenibilità.
Anzi, bisogna prestare attenzione alle misure in scadenza il 31 dicembre prossimo. Perché nella peggiore delle situazioni il governo potrebbe essere costretto a rinunciarvi.
Riforma delle pensioni, cosa è a rischio
Una su tutte Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi) che già tra il 2023 e il 2024 ha subito un peggioramento vista l’introduzione di un ricalcolo interamente contributivo per chi ricorre a questa opzione per il pensionamento.
Alle condizioni attuali una conferma per il 2024 non sembra essere così scontata come si potrebbe pensare, anche perché il governo ha già fatto sapere che la priorità per il prossimo anno è la proroga dello sgravio contributivo in busta paga che da solo costerà circa 10 miliardi di euro (rischiando di prendere 2/3 delle risorse a disposizione).
A rischiare è anche Opzione Donna, per quanto in tal caso si tratterebbe di un problema che riguarda poche migliaia di lavoratrici. L’Opzione Donna come era conosciuta fino al 2022, infatti, non esiste più da tempo, complici le modifiche apportate dal governo Meloni che oltre a incrementare l’età per l’accesso alla misura (passata da 58 a 60 anni nel 2023, poi salita persino a 61 nel 2024) ne ha riservato l’accesso alle sole invalide, caregiver e lavoratrici licenziate o in procinto di.
In extrema ratio a rischiare sarebbe anche l’Ape Sociale, in scadenza il 31 dicembre prossimo come le misure suddette. Nel 2023 l’età per l’accesso all’anticipo pensionistico è salita di 5 mesi (63 anni e 5 mesi), il rischio è che possa esserci un ulteriore incremento (mentre un addio sembra più complicato da ipotizzare).
Come pure a rischiare è l’incremento straordinario del 2,7% previsto per chi percepisce una pensione inferiore all’importo del trattamento minimo. Anche su questo fronte il governo ha rassicurato i pensionati ribadendo che l’intenzione è di supportare i redditi più bassi (pur sottolineando l’impossibilità di arrivare a 1.000 euro come era stato richiesto da Berlusconi).
Tuttavia, se questa promessa verrà mantenuta lo scopriremo solo quando inizieranno i lavori per la legge di Bilancio e si avrà maggiore chiarezza sulle risorse a disposizione. Perché se così come stimato in questi mesi dovessero essere davvero limitate, il rischio che il governo possa fare qualche rinuncia sul fronte pensioni si concretizzerà.
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