Si torna a lavorare a Quota 41, misura che consentirebbe a ogni lavoratore di poter andare in pensione con 41 anni di contributi (indipendentemente dall’età).
Per quanto riguarda la riforma delle pensioni l’obiettivo della Lega è di lavorare, già per il 2025, a una soluzione su Quota 41 per tutti “capace di dare una risposta ai lavoratori”. A dichiararlo è stato Claudio Durigon, sottosegretario al ministero del Lavoro, in una recente intervista rilasciata ad Affari Italiani, con la quale ha fatto chiarezza su quali sono gli obiettivi per il prossimo anno.
Dichiarazioni che contrastano con le risorse limitate che il governo dovrebbe avere a disposizione per la legge di Bilancio 2025, con la quale tra l’altro bisognerà affrontare anche il tema della conferma dello sgravio contributivo in busta paga.
Tuttavia, secondo Durigon il fatto che il sistema contributivo sia ormai predominante sul retributivo consentirebbe a Quota 41 di essere sostenibile a livello finanziario.
Non è da escludere a priori quindi che il 2025 possa essere davvero l’anno dell’estensione di Quota 41, oggi riservata ai precoci, per tutti i lavoratori. Una soluzione che secondo quanto dichiarato più volte da Matteo Salvini, permetterebbe di superare quanto stabilito dalla legge Fornero del 2011. Ma è davvero così?
Perché Quota 41 oggi potrebbe essere sostenibile
Secondo gli ultimi rilevamenti della Ragioneria dello Stato, Quota 41 per tutti avrebbe un costo compreso tra i 4 e i 5 miliardi di euro. È questa quindi la spesa che il governo dovrebbe mettere in conto già nel 2025 per consentire a ogni lavoratore di poter andare in pensione con soli 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica.
Tuttavia, la spesa potrebbe essere abbassata prevedendo, così come già fatto per Quota 103 nel 2024, un ricalcolo contributivo dell’assegno. In questo modo tutta la pensione verrebbe calcolata con il nuovo sistema introdotto a partire dal 1996 (che la legge Fornero ha esteso a tutti i lavoratori a decorrere dal 2012), con i lavoratori che dovranno rinunciare alla parte di retributivo.
Un ricalcolo che comporta inevitabilmente una penalizzazione per il lavoratore, mentre per lo Stato il costo del pensionamento anticipato verrebbe compensato dal minore esborso. Sarebbe questo, dunque, il prezzo da pagare per andare in pensione con qualche anno di anticipo, esattamente 1 anno e 10 mesi rispetto a quanto previsto attualmente dalla pensione anticipata.
Con Quota 41 per tutti nuovi requisiti per la pensione anticipata
Come visto sopra, effettivamente estendendo a tutti i lavoratori (oggi tale possibilità è riservata ad alcuni precoci) la possibilità di accedere alla pensione con Quota 41 verrebbe superata la riforma del 2011 approvata dal governo Monti.
Ma solo in parte, ossia per quanto riguarda la pensione anticipata che oggi consente a coloro che hanno maturato 42 anni e 10 mesi di contributi, uno in meno per le donne, di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica. In tal caso, infatti, tanto per gli uomini quanto per le donne sarebbero sufficienti 41 anni di contributi per l’accesso anticipato alla pensione.
Tuttavia, per coloro che non sono riusciti ad avere una carriera continua a tal punto da arrivare a 41 anni di contributi, resterebbe il solo accesso alla pensione di vecchiaia, per la quale sono richiesti 67 anni di età e 20 di contributi, misura che al momento non sembra essere oggetto di riforma.
L’età pensionabile, quindi, continuerebbe a essere pari a 67 anni per la maggior parte dei lavoratori: come ci insegna l’esperienza di Quota 100, infatti, solitamente a poter vantare un elevato numero di contributi sono perlopiù i dipendenti pubblici, non di certo quei lavoratori gravosi e usuranti che secondo la maggior parte della politica meriterebbero una maggior tutela in ambito previdenziale.
Quota 41 per tutti sarebbe per pochi?
Quota 41 per tutti rischia di essere una misura per pochi, visto che come detto sopra richiede un elevato numero di anni di contributi a cui solamente pochi lavoratori possono aspirare.
D’altronde è già stato così per Quota 100, quando il requisito contributivo era persino più basso in quanto pari a 38 anni: nella maggior parte dei casi ad averne usufruito sono stati i dipendenti col “posto fisso”, ossia coloro che sono riusciti a entrare da molto giovani nella Pubblica amministrazione riuscendo così a maturare gli anni di contributi richiesti senza troppi intoppi.
Discorso differente per il settore privato, dove la difficoltà nel trovare un impiego fisso, nonché la precarietà dei contratti, rendono più complicato raggiungere tale traguardo. Specialmente nel caso delle donne, tant’è che ad aver avuto accesso a Quota 100 sono stati perlopiù uomini.
Quota 41 potrebbe essere destinata alla stessa platea, e questo non significa che sarebbe inutile visto che non si può di certo negare che 41 anni di lavoro siano sufficienti per andare in pensione.
Tuttavia, prendendo atto di quella che potrebbe essere la platea dei beneficiari di Quota 41, bisognerà pensare anche ad altre misure per favorire gli esclusi da questa misura, ossia per donne e altri lavoratori - specialmente impiegati in attività gravose e usuranti - che non riescono a raggiungere il requisito contributivo richiesto.
Senza dimenticare poi che Quota 41 potrebbe prevedere un ricalcolo contributivo dell’assegno. Una penalizzazione che potrebbe limitare ancora di più la platea, in quanto molti lavoratori anziché accettare un taglio della pensione potrebbero scegliere di continuare a lavorare per poi smettere di lavorare una volta raggiunti i requisiti per la pensione anticipata.
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