L’addio alla cessione del credito (e allo sconto in fattura) conferma le buone intenzioni del governo Meloni riguardo alla riforma delle pensioni. Buone notizie anche per il taglio delle imposte.
Rischia di mettere in ginocchio imprese e famiglie, ma l’addio alla cessione del credito per il Superbonus (e non solo) rappresenta una buona notizia per i pensionati in quanto conferma le buone intenzioni del governo Meloni in merito alla riforma.
Come spiega Repubblica, infatti, il decreto Superbonus con cui è stato annunciato lo stop alle cessioni del credito per tutti gli incentivi edilizi è stato necessario perché altrimenti il governo non avrebbe avuto le risorse per attuare la riforma delle pensioni né quella fiscale. In questo modo, pur prendendosi molte critiche dagli addetti ai lavori visto che con il decreto approvato giovedì scorso di fatto si ferma la macchina degli incentivi edilizi, il governo Meloni avrà a disposizione 30 miliardi di euro da utilizzare per due delle riforme più attese del 2023, quella fiscale - che andrà anche ad aumentare gli importi delle pensioni - e appunto quella previdenziale sulla quale sindacati e governo hanno iniziato a imbastire un dibattito.
Buone notizie per le pensioni con l’addio alla cessione del credito
Il Superbonus ha creato non pochi problemi, tant’è che - spiega Giorgia Meloni - “considerando tutte le truffe è costato circa 2.000 euro a famiglia”. E per questo motivo, come pure per ovviare al problema dei crediti incagliati con le banche che non riescono più ad assorbirli, il governo ha deciso di dire basta: d’ora in avanti basta sconto in fattura per tutti i bonus edilizi, l’unica possibilità per recuperare una parte di quanto speso resta la detrazione.
Una decisione - politica - talmente rapida da essere quasi inaspettata: dopo anni in cui gli incentivi edilizi hanno movimentato il mercato (il futuro ci dirà se in meglio o in peggio) ecco arrivare una modifica che di fatto potrebbe bloccarlo, almeno nell’immediato. Ma il governo Meloni non sembrava avere altra scelta se non voleva mettere a rischio alcuni dei suoi progetti futuri: c’era il timore, infatti, che cessione del credito e sconto in fattura potessero limitare la possibilità di fare deficit per finanziare altre misure.
Nel dettaglio, quanto successo è dipeso dalla decisione contabile di Eurostat di registrare i crediti “pagabili”(quelli cedibili e compensabili con altre imposte) come quelli generati da tutti i bonus edilizi, ossia nel deficit dell’anno in cui nascono e non negli anni (dai 5 ai 10 a seconda della misura) in cui poi vengono restituiti dallo Stato.
In questo modo ci sarebbe stata una repentina crescita del deficit senza possibilità di farne ulteriore. Così, invece, in mano all’Esecutivo c’è un tesoretto di 30 miliardi di euro da utilizzare per i progetti futuri: una mossa che di fatto mette al sicuro la riforma delle pensioni, come pure la riforma fiscale con la quale dovrebbero essere riviste le aliquote Irpef con vantaggi - anche sulle pensioni - per i redditi di fascia media.
Quali vantaggi per i pensionati?
Con 30 miliardi di euro da poter inserire nel prossimo Def, il governo potrà portare a compimento la riforma delle pensioni. D’altronde i primi incontri non sono andati come si sperava proprio per un fattore “risorse” - in quanto il governo si è mostrato alquanto prudente sui correttivi da poter adottare - ma con lo stop al Superbonus le trattative potrebbero subire un forte slancio.
Nel dettaglio, la riforma si muoverà su tre diversi binari, di cui i primi due già affrontati negli ultimi incontri:
- donne: si ragiona sulla possibilità d’introdurre uno sconto di 4 mesi per ogni figlio sull’età pensionabile per la pensione di vecchiaia, fino a un massimo di 12 mesi. In questo modo si potrebbe andare in pensione a 66 anni anziché 67. Ma con la nuova iniezione di risorse potrebbero arrivare anche le modifiche a Opzione donna tanto richieste dalle lavoratrici;
- giovani: per i contributivi puri si valuta la possibilità di estendere il diritto all’integrazione al minimo, così da tutelare chi andrà in pensione con un assegno d’importo non adeguato al costo della vita;
- flessibilità per tutti: c’è poi il discorso più delicato, quello che riguarda l’addio alla legge Fornero. Se ne parlerà nei prossimi incontri, quando i sindacati chiederanno di nuovo di scendere a 62 anni o in alternativa a 41 anni di contributi per tutti. Maggiori possibilità per quest’ultima proposta, ma solo il confronto tra le parti ci dirà cosa succederà.
E risvolti interessanti per i pensionati arriveranno anche dalla riforma fiscale con la quale verranno ridotte le imposte dovute sull’assegno (ma non per tutti). Nel dettaglio, il piano è di scendere a tre scaglioni Irpef, prevedendo le seguenti aliquote:
- fino a 15.000 euro di reddito: 23%, quindi verrà mantenuta la stessa percentuale di oggi;
- per i redditi superiori a 15.000 euro ed entro i 50.000 euro, per i quali oggi sono previste due distinte fasce (una per i primi 28.000 euro con aliquota del 25% e l’altra, con percentuale del 35%, per i successivi), si passerà a un aliquota unica del 27%;
- sopra i 50.000 euro, invece, dovrebbe essere mantenuta l’aliquota del 43%.
A beneficiarne sarebbero perlopiù i pensionati con reddito compreso tra i 35 e i 40 mila euro, proprio quelli penalizzati dalla nuova rivalutazione. Per loro ci sarebbe un risparmio notevole sull’assegno, quantificabile in un importo netto tra i 100 e i 120 euro mensili.
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