Pensioni, il meccanismo di rivalutazione è incostituzionale? Ecco perché potrebbero essere in arrivo nuovi aumenti degli assegni.
Che la rivalutazione delle pensioni adottata dal governo Meloni nel 2023 - e in vigore nel 2024 - non piaccia a molti (specialmente ai pensionati stessi) è risaputo, ma c’è chi ritiene che possa essere considerato illegittimo agli occhi della Corte Costituzionale che già più volte in passato si è espressa a riguardo.
Ma andiamo con ordine: la rivalutazione - detta anche perequazione o indicizzazione - è quel meccanismo con cui gli assegni previdenziali e assistenziali (come ad esempio l’assegno sociale) vengono adeguati annualmente all’inflazione così da contrastarne la svalutazione. La regola generale prevede che la rivalutazione piena - al 100% del tasso d’inflazione accertato - si debba applicare solamente per le pensioni d’importo fino a 4 volte il trattamento minimo. Tra le 4 e le 5 volte, invece, la rivalutazione dovrebbe essere al 90% del tasso mentre sopra le 5 volte al 75% (meccanismo progressivo disciplinato dalla legge n. 448 del 1998).
Tuttavia, con il passare degli anni i governi hanno più volte messo mano a questo meccanismo per renderlo più severo per le pensioni d’importo superiore alle 4 volte il trattamento minimo, così da risparmiare risorse da destinare per altre misure.
E così è stato fatto anche nel 2023, con il governo Meloni che ha approfittato del taglio della rivalutazione per recuperare risorse per Quota 103 e per l’aumento delle pensioni minime. Ma come spiegato da Carmelo Barbagallo (Uil pensioni) in questo modo si sta semplicemente “togliendo ai poveri per dare ai poveri” (qui la nostra intervista), un sistema che assolutamente non può durare a lungo.
Ed è per questo che Barbagallo, e non solo, è pronto a scommettere che la Corte Costituzionale si opporrà alla rivalutazione ridotta delle pensioni. Nelle ultime ore si è aggiunto ai sostenitori di questa ipotesi anche Antonio Carbonelli, avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia che sul Fatto Quotidiano spiega qual è il suo pensiero a riguardo.
Un po’ di storia
Carbonelli ha ripercorso le ultime tappe della rivalutazione delle pensioni, soffermandosi anche sulle varie pronunce della Corte Costituzionale che si sono susseguite negli anni.
A partire da quel 1998, quando la legge finanziaria ha escluso, per un solo anno, dall’adeguamento con il costo della vita le pensioni d’importo superiore a 5 volte il trattamento minimo. Una norma che fu però “salvata” dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 372 del 1998.
Per anni poi continuò a essere applicato il meccanismo originario, fino al 2008, quando la finanziaria escluse per un anno l’adeguamento delle pensioni superiori a 8 volte il trattamento minimo. Nel 2012, invece, l’asticella si abbassa notevolmente bloccando l’adeguamento per 2 anni per le pensioni superiori a 3 volte il minimo: questa volta, però, la Corte Costituzionale interviene definendola illegittima, tanto che il governo Renzi dovette intervenire per modificare - leggermente - la norma ottenendo così il via libera della Consulta con la successiva sentenza n. 250 del 2017.
Arriviamo poi alla legge di Bilancio 2019, che per 3 anni blocca l’adeguamento delle pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo Inps introducendo, per ulteriori 5 anni, riduzioni per le pensioni che superano i 100.000 euro lordi annui. Anche in questo caso la Corte Costituzionale viene chiamata a valutare se la decisione è legittima o meno: in questo caso la sentenza (la n. 234 del 2020) va suddivisa in due parti, in quanto da un fronte i giudici hanno dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità per le pensioni fino a 9 volte la pensione minima, mentre ha ritenuto incostituzionale la norma riferita alle pensioni d’importo superiore a 100 mila euro l’anno in quanto di durata prolungata di 3 anni.
E la motivazione ci è utile anche per capire quelli che potrebbero essere gli sviluppi futuri: nel dettaglio, la Consulta ha contestato il periodo preso come oggetto dalla norma, un arco temporale persino di 8 anni (3 più altri 5), nonché la “frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo di adeguamento”.
Dopo anni, la rivalutazione torna a essere “piena” nel 2022, ma durerà poco: con la legge di Bilancio 2023 il governo Meloni, anche alla luce di un tasso d’inflazione molto alto che avrebbe comportato un esborso notevole per le casse delle Stato, deciderà di passare al seguente meccanismo di rivalutazione confermandolo anche per il 2024:
- al 100% del tasso di rivalutazione per gli assegni d’importo inferiore alle 4 volte il trattamento minimo;
- all’85% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
- al 53% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
- al 47% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
- al 37% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
- al 32% del tasso di rivalutazione per gli assegni superiori alle 10 volte il trattamento minimo.
Una riduzione, quindi, sopra le 4 volte il trattamento minimo che si fa ancora più severa sopra le 5 volte. Basti pensare, infatti, che una pensione d’importo superiore alle 10 volte il trattamento minimo, quindi sopra i 5.253,80 euro, anziché godere di una rivalutazione al 75% del tasso dovrà “accontentarsi” di un 32%.
Ma finché si parla d’importi molto elevati ci può anche stare: meno ragionato è il taglio per chi ad esempio ha una pensione che va dai 2.626,90 a 3.152,28 euro, per i quali la rivalutazione è passata dal 75% al 53%.
Questa rivalutazione è incostituzionale?
Solo la Corte Costituzionale potrà valutare se il meccanismo di rivalutazione delle pensioni adottato dal governo Meloni è incostituzionale o meno.
A tal proposito, Carmelo Barbagallo a nome del sindacato Uil Pensioni ha manifestato la propria intenzione di “ottenere la pronuncia della Corte Costituzionale sulla illegittimità costituzionale dell’articolo della Legge di Bilancio che ha tagliato la rivalutazione”, e per farlo sono già stati individuati dei pensionati “che saranno i ricorrenti di queste cause pilota”.
Secondo Barbagallo, che si aspetta un iter lungo, è importante “mantenere alta l’attenzione su questa ennesima ingiustizia ed evidenziare che è ora di finirla di utilizzare i pensionati come un salvadanaio da rompere ogni volta che ce n’è bisogno”.
Dello stesso parere Antonio Carbonelli, il quale ritiene che per quanto riguarda la rivalutazione delle pensioni siamo “entrati in quella logica di stabilità, in quelle misure tendenzialmente permanenti” che la Corte Costituzionale ha sempre contestato. D’altronde negli ultimi 5 anni appena una volta è stato applicato il sistema originario.
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