Un rapporto dell’Ocse stima per i giovani che entrano nel mondo del lavoro in questi anni, un pensionamento a 71 anni. Rischi e ipotesi per garantire le nuove generazioni.
Pensioni sempre più lontane, via dal lavoro a 71 anni per chi inizia a lavorare in questo momento. La vita professionale per i più giovani, quindi, si prospetta non lunga, ma lunghissima. Il Rapporto Pension ad a glanche , messo a punto dall’Ocse, sottolinea che un giovane che inizia oggi a lavorare a 22 anni, potrà andare in pensione solo dopo 49 anni, all’età di 71 anni.
Tra i 38 Paesi Ocse la soglia individuata per l’Italia è quella più alta dove, oggi, la pensione di vecchiaia si raggiunge al compimento dei 67 anni, anche se poi ci sono diverse forma di pensiona anticipata senza penalizzazione che abbassano l’età media di pensionamento. In questo periodo l’età media per la quiescenza è di circa 65 anni, sempre più alta dell’età media dei Paesi Ocse fissata a 64,1 anni.
Il problema è per chi inizia ora la propria carriera lavorativa perché, ricordiamo che il pensionamento in Italia è vincolato all’aspettativa di vita media (destinata a crescere).
Il problema delle pensioni per i giovani in Italia
L’Italia mira ad arrivare a un sistema contributivo puro che si raggiungerà, in pratica, intorno al 2035, quando gli ultimi lavoratori che ricadono nel sistema misto saranno pensionati e rimarranno solo coloro che ricadono interamente nel sistema contributivo.
Il sistema contributivo puro, pur non essendo necessario legare il pensionamento all’aspettativa di vita (visto che il sistema in questo modo, sarà pienamente sostenibile), lo diventa per evitare che i lavoratori accedano alla quiescenza troppo presto e con assegni mensili troppo bassi e non sufficienti a garantire un sostentamento dignitoso nell’età della vecchiaia.
Questo perché le retribuzioni italiane sono troppo basse andando a generare contributi previdenziali non elevati che daranno luogo a prestazioni che non permetteranno una vita dignitosa. Anche se adeguare l’uscita all’aspettativa di vita, quindi, non sarà più necessario per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, ritardare l’uscita dal mondo del lavoro diventa indispensabile per non avere una pensione da fame.
Il problema nasce per chi inizia a lavorare oggi (quindi i più giovani) che si troveranno l’età media di uscita dal mondo del lavoro aumentata di quattro anni, a 71 anni a meno che non si provveda, in futuro, a prevedere altre misure che permettano la flessibilità in uscita.
Le misure per agevolare i giovani
Di quanto detto fino a ora a risentire saranno soprattutto i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro. Si sta pensando, in ogni modo, a misure che tendano ad agevolare i giovani, come l’idea di consentire il riscatto della Laurea gratuitamente per chi rientra in determinate fasce di lavoratori e il garantire una pensione di garanzia per le nuove generazioni.
Al momento si tratta di ipotesi che, sicuramente, potrebbero aiutare a risolvere il problema delle pensioni troppo basse causate soprattutto dalle carriere precarie e discontinue, ma anche dal fatto che per molte nuove leve l’entrata nel mondo del lavoro stabile inizia solo a un’età più avanzata.
Dall’altro lato, invece, a influire sulle retribuzioni basse che non danno luogo a contributi sufficienti a garantire pensioni alte, bisogna puntare soprattutto sulla diminuzione del tasso di disoccupazione. Quanto prima i giovani, infatti, entrano nel mondo del lavoro in modo stabile e continuativo, più avranno modo di garantirsi, in vecchiaia, un assegno previdenziale più alto. Questo potrebbe, tra le altre cose, contribuire anche a permettere un pensionamento prima dei 71 anni.
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