Si avvicina il giorno delle elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia, un momento decisivo non solo per Ankara ma anche per il resto del mondo. Ecco perché le elezioni sono così importanti.
Ormai le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia sono alle porte e il resto mondo resta con il fiato sospeso. Domenica 14 maggio, infatti, il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan potrebbe perdere la sua presa ferrea sul secondo paese più popoloso d’Europa.
Dopo aver vinto cinque elezioni parlamentari, due elezioni presidenziali e tre referendum e aver affrontato un tentato colpo di stato militare, sembra che il tempo di Erdoğan e del partito Giustizia e Sviluppo (Akp) sia giunto al capolinea, almeno stando alle statistiche, che lo vedono come sfavorito rispetto allo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, rappresentante dell’opposizione unita.
In ogni caso a prescindere da chi vincerà le elezioni, il futuro presidente non solo dovrà occuparsi delle sorti della Turchia, sull’orlo di una crisi economica con un’inflazione galoppante, ma anche degli equilibri geopolitici.
Le elezioni della Turchia sono di massimo interesse per l’Europa, la Nato e la Russia, dall’elezione del nuovo presidente potrebbero dipendere importanti stravolgimenti negli equilibri internazionali. D’altronde la Turchia è l’undicesima economia più grande del mondo, oltre ad essere un membro fondamentale - e scomodo - della Nato che ha intessuto stretti rapporti con la Russia. Ma non solo: ecco perché le elezioni in Turchia sono più importanti di quanto pensiamo.
Turchia, sull’orlo di una crisi economica
A prescindere da chi vincerà le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia la lira turca sembra essere destinata a crollare, portando Ankara sull’orlo di una crisi economica di Ankara e una maggiore instabilità politica. Stando agli analisti, infatti, il crollo della lira sembra ormai essere inevitabile e al vincitore spetterà l’arduo compito di riguadagnare la fiducia degli investitori stranieri e di sviluppare un percorso sostenibile per un’economa da 900 miliardi di dollari.
Un percorso in salita, dato che il presidente Erdoğan ha intensificato le sue politiche non convenzionali dal 2018, incluso il taglio dei tassi di interesse per stimolare la crescita seppure con l’aumento dell’inflazione sopra l’85% in ottobre, mentre la lira è crollata di quasi il 60% negli ultimi due anni fino a un minimo storico rispetto al dollaro. La crisi economica in Turchia avrà sicuramente delle ripercussioni sia sul piano della politica interna che di quella estera, contribuendo a aumentarne l’instabilità politica.
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Il ruolo della Turchia nella guerra in Ucraina: tra Nato, Mosca e Kiev
La guerra in Ucraina ha avuto serie ripercussioni sull’economia mondiale e sul piano geopolitico. La Turchia tutt’oggi ricopre un ruolo centrale all’interno del conflitto, ponendosi come stato mediatore tra la Russia e l’Ucraina. È ad Istanbul, infatti, che si sono firmati i primi accordi tra le nazioni in guerra, con il risultato di sbloccare 20 milioni di tonnellate di grano bloccati nel Mar Nero. La Turchia ha dovuto destreggiarsi mantenendosi in equilibrio tra la Nato, di cui è stato membro dal 1952, e la Russia, rimanendo uno delle poche Nazioni a portare avanti un dialogo con Mosca. Infatti, Ankara non ha aderito alle sanzioni del G7 e dell’Ue contro Mosca, ma allo stesso tempo ha dato il via libera all’adesione alla Nato della Finlandia.
Ancora la Turchia ha bisogno dell’Occidente - come spiega l’Economist - per dare una maggiore stabilità alla sua economia, ma dall’altra non può far a meno della Russia dal punto di vista energetico. Infatti, come ricorda Inside Over nel 2022, Ankara ha importato il 40% del gas dai giacimenti russi. Le elezioni politiche in Turchia potrebbero quindi ridisegnare gli equilibri geopolitici, e il futuro presidente ha davanti a sé la sfida di mantenere questi equilibri: svolta filorussa - o filoccidentale - potrebbe compromettendo il precario equilibrio interno e internazionale.
Come le elezioni in Turchia influenzeranno l’Ue e la questione migranti
Le elezioni in Turchia decreteranno inoltre il riavvicinamento o meno con l’Europa, dopo la svolta autoritaria del mandato di Erdoğan. In ogni caso il tentativo di riavviare i negoziati di adesione della Turchia all’Ue potrebbe risultare difficile al futuro presidente. L’avversario politico di Erdoğan, Kılıçdaroğlu, ha garantito una svolta democratica in favore dei diritti dei cittadini e ha promesso di restaurare la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne (non rinnovata quest’anno nemmeno dal Governo italiano). Sempre in Europa e con l’Europa, la Turchia dovrà affrontare le storiche tensioni con la Grecia e Cipro. Solo nel 2020 si è rischiato il conflitto armato per il controllo delle acque intorno all’isola.
Eppure, il vero motivo per cui l’Europa guarda con preoccupazione le elezioni in Turchia è la questione migranti. La Turchia si occupa, infatti, di gestire i rifugiati e migranti provenienti dalla Siria e dal resto del Medio Oriente. Ad esempio, entrambi i candidati alle presidenziali hanno dichiarato di voler rimpatriare 3,6 milioni di persone - come riporta l’Unhcr - che hanno trovato rifugio nel Paese. Le future politiche migratorie della Turchia sono cruciali per gli equilibri internazionali ed europei. Politiche migratorie imbracciate da Erdoğan come armi politiche per far valere la sua posizione in Europa. Un rimpatrio coatto potrebbe avere le sue ripercussioni sui tavoli geopolitici, considerando che l’Europa dal 2016 paga la Turchia per fermare le migrazioni.
Turchia, il ruolo di Stato “cuscinetto” con il Medio Oriente
La Turchia, però, non ha un ruolo centrale solo nei delicati rapporti tra Russia e Nato, ma anche in Medio Oriente, dove svolge la sua funzione di “stato cuscinetto”. Le elezioni in Turchia potrebbero infatti ridisegnare la posizione di Ankara in Medio Oriente, a partire dai rapporti con la Siria, che potrebbero influenzare i flussi migratori. Da qualche anno infatti la Turchia, rischiando di rimanere isolata in Medio Oriente ha deciso di riavviare i rapporti con alcuni paesi strategici come l’Egitto e l’Arabia Saudita, con la quale i rapporti si erano tesi dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuta nel 2018 nel consolato saudita a Istanbul.
Ma soprattutto il nuovo presidente dovrà stabilire quale atteggiamento assumerà la Turchia nei confronti di Israele. Se il candidato Kılıçdaroğlu, ad esempio, vuole adottare una linea dura tentando di isolare Israele a causa dei “massacri in Palestina”; Erdoğan, dall’altra parte, pur imponendosi come “difensore del mondo musulmano” si è aperto al dialogo con Israele, una posizione di certo più apprezzata dalla Nato - in primis gli Stati Uniti. Ancora una volta le elezioni politiche in Turchia potrebbero influenzare l’intera scacchiera geopolitica: ogni azione che prenderà il futuro presidente, infatti, potrebbe avere ripercussioni economiche e politiche. Non resta quindi che attendere il risultato delle elezioni del 14 maggio.
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