Perché nessuno vuole fare il ministro dell’Economia del governo Meloni

Giacomo Andreoli

12/10/2022

Giorgia Meloni fatica a trovare una figura che accetti di fare il ministro dell’Economia in un momento così delicato per l’Italia: dopo il no dei tecnici (in primis Panetta) ora in pole c’è Giorgetti.

Perché nessuno vuole fare il ministro dell’Economia del governo Meloni

AAA cercasi ministro dell’Economia. Giorgia Meloni potrebbe ricevere l’incarico di formare un nuovo governo tra una decina di giorni (tra il 21 e il 22 ottobre), ma a differenza di altri nodi già risolti, ancora non ha chiuso la casella fondamentale per il nuovo esecutivo, cioè chi occuperà la poltrona di via XX Settembre.

A quanto trapela da numerose indiscrezioni di stampa e dagli stessi ambienti di Fratelli d’Italia i tecnici a cui pensava la leader del partito di destra avrebbero detto “no, grazie”. Fabio Panetta, Dario Scannapieco, Domenico Siniscalco e Gaetano Micchichè, ma anche l’attuale ministro Daniele Franco, che ha incontrato Meloni e i suoi. Ognuno di loro avrebbe espresso perplessità o direttamente rifiutato, facendo ripiegare sui nomi più politici di Giancarlo Giorgetti o dei fedelissimi della leader di Fratelli d’Italia Maurizio Leo e Giovanbattista Fazzolari.

Insomma, Meloni vorrebbe una figura di alto profilo, in grado di tranquillizzare l’Unione europea e gli Stati Uniti rispetto alla linea liberale e non dissennata sui conti pubblici del suo esecutivo. Se però non si riesce a trovare a breve un tecnico di peso, bisogna necessariamente ripiegare su un politico che sia contemporaneamente affidabile per Meloni e non indigesto per gli alleati di centrodestra. Chi potrebbe essere?

Ministero dell’Economia, perché i tecnici lo rifiutano

Il primo a cui Meloni avrebbe chiesto di fare il ministro e colui che spera fino all’ultimo possa accettare è Panetta, ex direttore della Banca d’Italia e ora membro del board della Bce. Lui, secondo Meloni, sarebbe anche il migliore per mitigare le politiche monetarie restrittive-anti inflazione della Bce. Scannapieco, invece, è l’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, nome di spessore tra gli accademici, così come Siniscalco, economista e banchiere italiano che ha già fatto il ministro nei governi Berlusconi.

Meno noto è Gaetano Micchichè, attuale presidente della divisione Imi del gruppo Intesa Sanpaolo, che sarebbe più papabile dell’attuale numero uno della banca Carlo Messina (inizialmente inserito nel toto-ministri). Tutti loro avrebbero rifiutato perché spaventati dalla congiuntura economica sfavorevole del momento, tra caro-bollette e problemi di approvvigionamento energetico, inflazione e politiche monetarie restrittive della Bce.

Non solo: tra le cancellerie europee c’è diffidenza rispetto al prossimo governo guidato probabilmente da Meloni e quindi molti vogliono evitare di ricoprire il ruolo che fu di Giovanni Tria nel governo Conte I (cioè di mediatore tra i roboanti programmi e toni di governo da una parte e la tenuta dei conti pubblici in linea con le regole europee dall’altra). Un ruolo del genere lo vorrebbe evitare a maggior ragione una persona come Franco, che non avrebbe più lo “scudo” di un presidente stimato al livello Ue come Mario Draghi.

Quali sono i dossier economici più caldi

Le sfide per il prossimo governo dal punto di vista economico sono parecchie: innanzitutto c’è da premere in Europa per fare passi avanti sulla crisi energetica, approvando qualcosa tra price cap, riforma del mercato speculativo Ttf di Amsterdam e un nuovo fondo comunitario per sostegni a famiglie e imprese.

Contemporaneamente c’è da intervenire a livello nazionale per proteggere i nuclei più fragili e le imprese dai rincari, soprattutto sostenendo il potere d’acquisto della classe media e i conti dei piccoli e medi imprenditori. Insomma c’è da fronteggiare una possibile recessione, stimolata da un’inflazione che difficilmente le banche centrali riusciranno a contenere senza una risposta decisa alla crisi energetica.

Il tutto per tutelare in primis i posti di lavoro: migliaia o per qualche sindacato addirittura un milione sono a rischio. Vanno salvati e va data una prospettiva soprattutto a donne e giovani attualmente disoccupati o sotto-occupati, riformando contemporaneamente la parte sulle politiche attive del lavoro del Reddito di cittadinanza.

Le sfide al livello europeo

Poi c’è la sfida del Pnrr. Rinegoziazione o no, va portato a termine e se fino ad ora si sono impostati solo obiettivi generici, adesso è venuto il momento dei fatti: vanno messe in piedi le gare e applicate le bozze di riforme fino in fondo, con scadenze ravvicinate che se non si seguono ci fanno perdere le tranche di denaro dalla Commissione europea. Si parla di decine di miliardi due volte all’anno.

Infine c’è il dibattito sul Patto di stabilità e la trattativa da portare a termine in Europa per rendere più flessibili le regole di bilancio comuni, superando le restrizioni dei falchi del nord (più volte supportati dalla Germania) e le perplessità dei paesi dell’est.

I nomi in pole e l’intesa con la Lega

In questo scenario sembra che Meloni, come detto, debba ripiegare su nomi politici. Giorgetti, attuale ministro dello Sviluppo economico è il più papabile: sa fare il lavoro e anche se forse non vorrebbe prendersi quest’onere ha già il beneplacito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo propose a Luigi Di Maio e Matteo Salvini per il governo Conte I.

Il problema è che Salvini ha una doppia paura: affibbiare al suo partito l’onere di un ministero molto difficile da gestire in questo momento e contemporaneamente dare spazio al suo amico-nemico all’interno del Carroccio, alimentando possibili tentazioni di scissione. Ecco che allora, se Meloni non avesse altre vie, darebbe il ministero dell’Economia o a Fazzolari, l’ideologo della presidente di Fdi o Leo, responsabile economico del partito che ha scritto gran parte del programma elettorale.

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