Giorgia Meloni vorrebbe rinegoziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Letta inserire delle piccole modifiche: cosa si può fare davvero e cosa è utopia? Vediamo cosa dicono le regole europee.
Giorgia Meloni lo vuole rinegoziare, Enrico Letta cambiare leggermente, con aggiustamenti di carattere attuativo. Quella del Piano nazionale di ripresa e resilienza è sicuramente la partita fondamentale per il nostro Paese, non solo nei prossimi anni, ma anche e soprattutto nei prossimi mesi. Entro la fine del 2022, infatti, bisogna portare a casa 16 target (cioè obiettivi specifici) e 39 milestone (cioè misure più generiche) e in ballo ci sono quasi 22 miliardi di euro.
Con le elezioni politiche fissate per il prossimo 25 settembre, anche in caso di netta vittoria elettorale per una delle coalizioni o dei partiti in campo, il prossimo governo non si potrà formare prima di ottobre. Ci sarà quindi poco tempo per portare a termine contemporaneamente la legge di Bilancio e gli obiettivi residui del Piano.
Cosa sta facendo il governo Draghi
Entro fine anno bisogna impostare l’85% delle riforme e il governo Draghi sta continuando a lavorare tramite i decreti attuativi. Il presidente del Consiglio vuole portare a termine prima del passaggio di consegne tutti i 55 obiettivi che il Pnrr prevede entro dicembre. Si intende quindi prevenire ogni ritardo dovuto al cambio di governo. Tuttavia si tratta di un lavoro enorme, con l’insidia più grande rappresentata dai decreti sulla riforma della concorrenza, inclusa la delega sulle concessioni balneari per far partire le gare e concedere gli indennizzi.
Il lavoro dell’attuale esecutivo, quindi, potrebbe non bastare e si potrebbe arrivare a un braccio di ferro tra il nuovo governo e le istituzioni dell’Unione europea: Commissione (finora benevola con l’Italia, ma con l’incognita della natura del nuovo governo) e Consiglio (con i falchi del Nord e gli euroscettici dell’Est pronti a mettere in discussione le richieste italiane). Vediamo quinti quanto e come si può cambiare il Pnrr.
Pnrr, cosa propongono Meloni e Letta
Meloni vuole un profondo cambiamento del piano concordato con l’Ue. L’idea è che, vista la crisi energetica e l’inflazione, si possa sfruttare il regolamento europeo sul Next Generation per puntare di più sulle infrastrutture energetiche ed abbassare drasticamente i costi delle bollette per famiglie e imprese. Questo, secondo le indiscrezioni di Repubblica, anche a costo di penalizzare leggermente la transizione ecologica.
La leader di Fdi, assieme a Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ha parlato espressamente nel programma elettorale di centrodestra di “mutate condizioni, necessità e priorità” che spingono a una rinegoziazione. Secondo Letta, però, una piena modifica non si può fare e anzi “va attuato così com’è” nella sua struttura generale. Il segretario del Pd, però, spiega che “le regole del Pnrr che consentono aggiustamenti di carattere attuativo”. Questo, ad esempio potrebbe portare a integrare il RePowerEu con i Pnrr nazionali e aiutare ad abbassare le bollette del gas.
Il Pd propone di integrare l’attuale bonus sociale per i nuclei a basso reddito con “la bolletta luce sociale per famiglie e micro-imprese, basata solo su energia rinnovabile e prezzi calmierati, grazie a contratti di acquisto decennali”. Secondo Letta, quindi, chi chiede di cambiare in corsa rischia di procurare “ritardi notevoli” con due problemi: il possibile “blocco delle risorse per le emergenze” e il mancato di “una delle condizionalità dello scudo anti-spread della Bce”
Cosa dicono i regolamenti europei
Secondo il regolamento europeo del Next Generation Ue le modifiche ai Pnrr sono possibili solo in casi eccezionali, dovute a un deciso mutamento nell’andamento dell’economia europea. Si parla espressamente “circostanze oggettive”, che nell’attuale contesto ci dovrebbero essere, come chiarito dal commissario all’Economia Paolo Gentiloni. La Commissione europea, interpretando le regole, ha poi chiarito all’inizio di quest’anno che l’impianto generale dei Piani deve rimanere fisso, quindi le modifiche non possono stravolgerlo del tutto. Ma come funzionerebbe?
Secondo il Regolamento sul Fondo, in caso di valutazione positiva, se c’è una richiesta di modifica la Commissione europea propone una nuova bozza di Decisione attuativa. Questa deve essere approvata dal Consiglio europeo, che ha l’ultima parola. Lì siedono quei Paesi del Nord come l’Olanda e quelli dell’Est, come l’Ungheria, che potrebbero avere da ridire, come hanno fatto in passato proprio sul Next Generation Ue e la sua ripartizione di fondi a loro dire troppo sbilanciata verso i Paesi del Sud Europa, tra cui l’Italia.
Il regolamento prevede poi che se la quota di finanziamenti per un target risulta inferiore a quanto previsto da uno Stato, il governo di questa nazione può colmare il gap in tre modi: può presentare, fino al 31 agosto 2023, un Pnrr rivisto per accedere a nuovi prestiti (ma solo in misura inferiore al 6,8% del reddito nazionale lordo); può fare un piano per il trasferimento di soldi da altri programmi di finanziamento dell’Ue; può usare risorse proprie (con la leva dalle tasse).
Il Piano si può cambiare
Morale della favola: cambiare il Pnrr si può, ma senza stravolgerlo e convincendo tutta l’Unione europea, compresi i Paesi più riottosi. Farlo entro fine anno è rischioso per l’Italia visti i tempi stretti per ricevere la seconda rata annua del Piano, poi il discorso si può riaprire dato che la rata successiva arriva a giugno del 2023.
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