Con la bella stagione torna anche la polemica sulla presunta colpa del RdC per la mancanza dei lavoratori stagionali. Ma è davvero così? Perché non si trovano lavoratori stagionali?
L’inizio della “stagione” - come viene chiamato il periodo di forte incremento del lavoro di un determinato settore - riaccende il dibattito sul perché sia così difficile trovare lavoratori stagionali. Cercare di rispondere al “perché” potrebbe diventare un esercizio di retorica pro o contro gli imprenditori o i lavoratori; al contrario, si deve cercare di comprendere cosa c’è di vero e cosa no in un fenomeno che non è affatto nuovo, cioè “generazionale” come spesso si vuole far credere per un gioco di semplificazione.
La politica contro i “giovani da divano” è piuttosto inutile, come qualsiasi altra generalizzazione, tanto per i lavoratori abituati a concentrare il lavoro nella stagione estiva, quanto per gli imprenditori locali che hanno bisogno di incrementare il personale per garantire un buon servizio. Capire perché non si trovano lavoratori stagionali è fondamentale per aprire una vera riflessione sul tema del lavoro.
In molti casi è la precarietà del lavoro ad allontanare le persone, in altri è lo stipendio non adeguato o la qualità stessa del lavoro e dell’ambiente. In questo quadro è vero che il Reddito di cittadinanza ha cambiato le carte in tavola, dando maggior potere a chi cerca lavoro invece che agli imprenditori che lo offrono. Non è una “distorsione”, come invece sembra credere Massimo Garavaglia, ministro del Turismo, quanto più una maggiore consapevolezza del valore del proprio lavoro, che sia pagato il giusto e regolarizzato.
I cosiddetti “furbetti” del Reddito di Cittadinanza non mancano, è vero, ma non sono questi che cercano il lavoro. Anzi, le indagini sui falsi bisognosidel RdC hanno più volte dimostrato che la maggior parte di loro un lavoro lo aveva già, ma in nero. Chi cerca lavoro oggi cerca garanzie. È banale, ma quanto mai essenziale, ricordare che anche gli stipendi stagionali devono rispecchiare la crescita del costo della vita e l’inflazione.
Perché, secondo gli imprenditori, non si trovano lavoratori stagionali
Le strade per rispondere al perché non si trovano lavoratori stagionali sono due: una è guardare all’opinione degli imprenditori, l’altra è quella dei lavoratori. Non si vuole neanche fare di tutta l’erba un fascio, ma tentare di generalizzare può aiutare intanto a mettere nero su bianco quali sono le diverse richieste che vengono fatte dalle due parti.
La mancanza di lavoratori stagionali non si può banalizzare con retoriche come “è colpa del RdC” o “i giovani non vogliono più spaccarsi la schiena”. Ci sono dei casi certo, ma le cause del fenomeno sono ben più complesse. A partire, per esempio dalla rivalutazione del lavoro stagionale, spesso legato nell’immaginario al lavoro del cameriere sfruttato, senza giorni di riposo e sottopagato. Tale cambiamento deve inevitabilmente partire dagli imprenditori.
Diventa sempre più comune cercare lavoro online, su piattaforme dove esistono spazi dedicati alle recensioni di dipendenti o ex dipendenti. Un ambiente di lavoro confortevole, soprattutto quando viene richiesto un sforzo extra nel periodo stagionale, è essenziale. Paga adeguata e contratto di lavoro sono invece il minimo sindacale, letteralmente. Christian Ferrari, segretario regionale della Cgil in Veneto, ha spiegato come il vero problema del settore turistico e stagionale sia proprio la scarsa qualità del lavoro e del salario, oltre alle ampie zone di nero.
Dall’altra parte c’è un settore che negli ultimi due anni, complice la pandemia, ha riscontrato diversi problemi a ripartire. Non trovare personale è l’ennesimo ostacolo, tanto quanto offrire uno stipendio che sia adeguato al caro vita dopo un periodo di crisi economica non è affatto semplice. Chi lo metterebbe in dubbio? Fin troppo spesso gli imprenditori si sono ritrovati a far fede al motto “aiutati che Dio ti aiuta”, lasciati da parte per via della crisi sanitaria. Il sacrificio non deve però essere chiesto al personale, quanto allo Stato.
Perché non ci sono persone disposte a fare lavori stagionali
Dall’altra parte della barricata ci sono i dipendenti. Mettersi nei panni di chi, cercando lavoro, si imbatte in offerte da 800-1.000 euro per lavorare 6 giorni su 7 per 10-12 ore al giorno, è un modo per rispondere al famoso “perché” iniziale. Il tempo da dedicare al lavoro, specialmente se sottopagato e durante la stagione, è tempo perso. Quelli stagionali sono spesso “lavoretti” che non si fanno o vogliono fare per il resto della vita. Si tratta proprio di quell’immaginario del giovane cameriere sfruttato citato poco sopra. La gavetta, cioè lavorare non per soldi ma per imparare, può essere considerata un’alternativa valida solo se quel lavoro ha un valore anche dopo la stagione.
Infatti è bene far notare che mentre i lavori stagionali nel settore turistico sono sempre meno interessanti per i giovani e le donne, molto di più lo sono diventati quei lavori autonomi da svolgere in smart working o in settori quali tecnologia, servizi e logistica dove si può crescere e fare carriera. La pandemia ha messo a disposizione nuove possibilità di lavoro, spesso più confortevoli. Il settore del turismo è ancora piuttosto indietro su questo. Senza dover citare (anche se lo stiamo per fare) la riscoperta del valore del tempo e quindi della vita.
Può apparire retorico, ma non lo è. La precarietà generale, tra pandemia e guerra, non alimenta solamente la sfiducia dei mercati, ma soprattutto alimenta l’incertezza delle categorie più fragili nel settore lavorativo, come giovani, donne e anziani (ovvero chi ha perso il lavoro in una fascia d’età avanzata ma non può ancora andare in pensione). Per tutti, infine, sembra tornato evidente che non si può vivere al solo scopo di lavorare, ma al contrario si deve lavorare per avere fondi per poter vivere.
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