La lavoratrice dipendente incinta ha diritto a permessi retribuiti per svolgere le visite e i controlli medici collegati allo stato di gravidanza. Non ci sono limiti.
Sono diverse le forme di tutela che il nostro ordinamento riconosce alle lavoratrici in stato di gravidanza al fine di tutelare tanto la loro salute quanto quella del nascituro. Tra questa figurano anche i permessi retribuiti a cui le donne incinte hanno diritto nei giorni in cui devono sottoporsi a visite mediche o ecografie, ai quali si aggiunge poi il congedo obbligatorio (che può essere anche anticipato nel caso in cui lo svolgimento dell’attività lavorativa rischi di compromettere l’avanzamento della gravidanza).
Generalmente il congedo di maternità obbligatorio ha inizio all’entrata dell’ottavo mese di gravidanza, o meglio due mesi prima dalla data presunta del parto. Nel frattempo, appunto, alla lavoratrice viene riconosciuta la possibilità di astenersi dall’attività lavorativa in quelle giornate in cui deve sottoporsi a esami di routine o visite specialistiche. Ovviamente la ragione del controllo deve essere riconducibile allo stato di gravidanza.
Si tratta di permessi retribuiti: oltre a giustificare l’assenza, quindi, permettono alla lavoratrice di mantenere lo stesso stipendio.
È l’art. 14 D.Lgs. 151/2001 - Testo unico sulla maternità - a prevederli, fissandone limiti e obblighi per la lavoratrice che li richiede. A tal proposito, ecco tutte le istruzioni riguardo a uno degli strumenti più importanti riconosciuti dal nostro ordinamento per la tutela delle donne in gravidanza.
Quando spettano
In base al Testo Unico sulla Maternità, le lavoratrici incinte hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di controlli medici correlati al proprio stato di gravidanza nel caso in cui questi debbano essere eseguiti durante l’orario di lavoro. Questo diritto è previsto per la generalità delle lavoratrici dipendenti, a prescindere dal settore di appartenenza, pubblico o privato: i contratti collettivi possono comunque prevedere ulteriori permessi per le lavoratrici in gravidanza, assieme a trattamenti di miglior favore.
Rientrano tra le ragioni per i quali si può usufruire dei suddetti permessi:
- gli esami prenatali
- gli accertamenti clinici
- le visite mediche specialistiche.
Insomma, tutti quei controlli sanitari riconducibili allo stato di gravidanza della lavoratrice. Non ha rilevanza la struttura sanitaria in cui sono svolti i controlli, per la concessione dei permessi: può essere sia pubblica che privata.
Quanto durano
Il permesso retribuito per controlli prenatali è però limitato al tempo necessario per sottoporsi alla visita e quindi non per forza per tutta la giornata.
A tal proposito, è bene sottolineare che il permesso in oggetto non copre soltanto il tempo impiegato per la visita o per sottoporsi agli esami, in quanto include anche quello impiegato per raggiungere il medico, l’ambulatorio o la struttura sanitaria, nonché quello necessario per rientrare in azienda o nella sede di lavoro.
In pratica, terminata la visita, o l’esame, la lavoratrice è tenuta a rientrare in servizio: se, però l’orario della visita, compreso il tempo necessario per recarsi dal posto di lavoro alla struttura sanitaria e viceversa, coincide con le uniche ore di attività della dipendente in quella determinata giornata, il permesso si configura come assenza retribuita per l’intera giornata lavorativa.
Limite di permessi
Non esiste un numero massimo di visite ed esami oltre il quale i permessi non sono più concessi o retribuiti. Il numero di richieste possibili non è stabilito da nessuna norma: perché sia accordato il permesso retribuito, è dunque irrilevante il numero di richieste effettuate dalla lavoratrice nel corso della gravidanza.
Richiesta
Per usufruire dei permessi, la lavoratrice deve informare il datore di lavoro della gravidanza producendo un certificato medico. Deve poi presentare al datore un’apposita domanda - secondo le modalità concordate con il datore di lavoro - e, successivamente, presentare la documentazione giustificativa che attesti la data e l’orario di effettuazione della visita o degli esami.
Il datore di lavoro può rifiutarsi di concedere i permessi?
A stabilire l’opportunità degli esami e delle visite prenatali è la lavoratrice, dietro parere del suo medico di fiducia.
Il datore di lavoro (o il dirigente, per i dipendenti pubblici) non può sindacare sulla tipologia di visita richiesta; a lui compete solo il controllo della documentazione attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami.
I permessi, poi, non possono essere negati per esigenze di servizio, né il datore di lavoro può chiedere di recuperare le assenze.
I permessi per visite ed esami in gravidanza sono assenze per malattia?
I permessi per visite mediche ed ecografie delle lavoratrici in gravidanza sono assenze specifiche: non rientrano nelle assenze per malattia, né sono contate nel periodo di comporto (il periodo massimo di conservazione del posto per i dipendenti in malattia).
Di conseguenza, la lavoratrice assente per esami/controlli prenatali non può essere sottoposta a visita fiscale.
Le assenze per visite ed esami in gravidanza sono permessi per motivi familiari?
I permessi per visite mediche ed ecografie delle lavoratrici in gravidanza sono ricompresi nella categoria dei permessi retribuiti previsti da specifiche disposizioni legislative, come i permessi per donazione del sangue o per assolvere alle funzioni di giudice popolare.
Essendo un autonomo diritto, non devono dunque essere scomputati dai permessi retribuiti spettanti per motivi personali, come Rol, ex festività e permessi brevi da recuperare, né essere considerati come permessi per motivi familiari.
Anche se i permessi non sono previsti dal contratto collettivo del settore di appartenenza, si tratta di un diritto per tutti i lavoratori, pubblici e privati: non è necessaria una specifica clausola contrattuale che li contempli.
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