Il procuratore distrettuale Alvin Bragg, con i soldi del noto investitore George Soros, ha tutta l’intenzione di portare Donald Trump in galera. Spoiler: non ci riuscirà.
Quando, mercoledì 30 marzo, i membri del Grand Jury di Manhattan hanno votato a favore dell’incriminazione dell’ex presidente Donald Trump, è stato infranto un tabù che durava da 230 anni, ossia da quando è stato eletto il primo presidente, George Washington. Il precedente è di una rilevanza istituzionale che è ancora impossibile da soppesare nelle sue conseguenze future.
“Alvin Bragg, il progressista di provincia, sta scatenando forze di cui tutti noi potremmo arrivare a dolerci”, ha commentato funestamente il Wall Street Journal, conscio come tutti della estrema polarizzazione nella politica americana nell’imminenza della campagna presidenziale per il 2024.
La gravità della decisione del District Attorney (DA) di New York, Alvin Bragg, di sottoporre al Gran Giurì gli elementi di accusa in mano al suo ufficio per avere il via libera all’arresto e al processo di Trump ha provocato un prevedibile terremoto politico. Il muro contro muro è evidente nelle dichiarazioni dei rappresentanti dei due partiti che ruotano attorno a due concetti: “Questa è una incriminazione politicamente motivata”, che è la tesi del GOP, unito per respingere l’attacco; e “La legge fa il suo corso”, che è la tesi contrapposta dei DEM. [...]
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