Presunta crisi climatica e vera crisi energetica

Redazione

14/05/2022

La crisi climatica è figlia di alcuni meccanismi che sono arrivati a compimento con la mancanza di petrolio e gas.

Presunta crisi climatica e vera crisi energetica

Articolo a cura di Giuliano Ceradelli

Siamo sull’orlo del baratro” è l’espressione utilizzata da Antonio Guterres – Segretario Generale One – in una sua dichiarazione dell’anno scorso a margine della Cop26. Riguardo alle emissioni antropiche di gas serra (CO2 in particolare) non mi trova per nulla in accordo.

La CO2 è il mattone della vita sulla terra, non inquina, ma anzi contribuisce a rendere più verde il nostro pianeta. Nessuno nega che la CO2 sia un gas serra (con CH4, N2O, e con il ben più potente vapor d’acqua), ma la sua relazione di causa-effetto (+ CO2 = + Tgm) è solo una congettura, un’opinione che si è trasformata in dogma e che è supportata dalla maggioranza. Tale congettura non è infatti dimostrata in modo scientifico (con il metodo galileiano, mai superato) ed è oltretutto contraddetta dalle osservazioni empiriche, dai fatti che ci dicono che mentre negli ultimi 150 anni la concentrazione di CO2 è andata monotonamente aumentando (da 0.03% a 0.04%, e, nonostante l’aumento di circa il 30%, sempre di tracce si tratta), le temperature medie globali non hanno seguito un pari andamento, ma hanno oscillato in + e in -.con pause più o meno lunghe.

Il contributo della CO2 (antropica o naturale) sul clima non è poi facilmente quantificabile, e quanto sopra ne dimostrerebbe comunque la marginalità. La sensibilità climatica ad un raddoppio della concentrazione di CO2 in atmosfera, così come stimata dagli organismi della “scienza ufficiale” come l’IPCC, ci dice che essa può variare tra valori prossimi ad 1,5°C, per cui cadrebbero in pratica tutti i proclami catastrofisti riguardo al cambiamento climatico, e valori prossimi a 4,5°C, rendendo insufficienti le misure previste dagli accordi internazionali come quello di Parigi o delle successive Cop. Tutto il sistema è poi inficiato dalla scarsa capacità dei modelli climatici di riprodurre efficacemente il complesso sistema climatico naturale, anche se lo è molto meno nella letteratura “scientifica” mainstream, dove ormai le simulazioni hanno preso il posto della realtà e indicano la strada delle policy climatiche.

Ebbene su queste incertezze sembrano fondarsi le policy mondiali.
Ne consegue la “rivoluzione verde”, il Green New Deal e la “transizione energetica” (che hanno senz’altro dei lati positivi, come il risparmio energetico e il suo efficientamento, la preservazione della biodiversità, la lotta all’inquinamento, la ricerca di nuove e valide – non solare ed eolico - risorse energetiche, ecc) ma che poggiano su basi alquanto fragili e non scientifiche, anche se sbandierate come verità e necessità assolute ed imprescindibili.

Sotto la spinta della finanza speculativa e dei giganti dell’high tech (Facebook, Google, Amazon, ecc.) che sono diventati sempre più potenti, sempre più influenti, sempre più padroni dei nostri dati, sempre più determinanti nelle scelte politiche dei governi, perché sempre più ricchi e perché, nella sostanza, proprietari degli stessi media.

La finanza speculativa ha contribuito pesantemente ad incanalare gli investimenti azionari forzosamente attraverso fondi ESG e attraverso campagne di stampa: si è arrivati persino a infiltrare scientificamente nei cda delle compagnie petrolifere sabotatori di professione: ambientalisti insediati da mega-fondi come BlackRock et similia con lo scopo di soffocare gli investimenti delle oil companies dal loro interno, a mo’ di virus inoculati in un organismo ancora maledettamente sano, per farlo finalmente ammalare e renderlo definitivamente inoffensivo.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la crisi energetica di questi ultimi mesi è figlia di quegli stessi meccanismi di cui già parlavo in beata solitudine anni fa, e adesso trova finalmente compimento nel fatto che petrolio e gas non sono più disponibili in quantità sufficienti proprio perché le società petrolifere sono state messe, con la forza, nella condizione di non poter investire più nella ricerca e sviluppo degli odiati idrocarburi. A tutto ciò oggi va sommato l’effetto della guerra in atto nel nostro cortile di casa (Europa) e la conseguente necessità di diversificare le nostre fonti di approvvigionamento di materie prime onde renderci indipendenti dalle forniture russe.

Morale: oggi, nonostante i prezzi del greggio alle stelle, la cattivissima e potentissima Exxon vale 270 miliardi di dollari: poco più di un decimo di Amazon, o di Google. E il signor Rossi, in compenso, paga la bolletta energetica il doppio. Eccolo servito, l’antipasto del meraviglioso mondo “green” pensato e pianificato dai migliori.

Qualche anno fa ricordo di aver fatto notare ad alcuni amici che, nonostante persistesse il tema che voleva le Oil Companies brutte e cattive dominare (e rovinare) il mondo, nella realtà a dominarlo fossero di gran lunga i giganti dell’high tech.
La virtuosa Europa si dissangua per diminuire l’uso di combustibili fossili (un terzo del Recovery Plan è dedicato alla transizione “verde”), ma fateci caso l’Islanda – paese fortunato tutto green (idroelettrico e geotermico, con slancio verso l’idrogeno – conta con ben 130 vulcani, tra attivi e inattivi (è proprio di un anno fa la notizia del risveglio del vulcano Fagradalsfjall), che sbuffano fuori in atmosfera ogni anno una quantità di CO2 equivalente alla produzione di CO2 antropica della EU. Quindi la Cina, pur non nelle smaglianti condizioni di qualche anno fa, ma in un certo affanno sociale ed economico-finanziario, comunque è sulla riva del fiume e attende il passaggio del “cadavere” dell’industria europea.

Si dice green (anche se oggi è per necessità che si fa virtù, transitoriamente “tutto green”), ma di green c’è ben poco. Secondo uno studio di “Mining Intelligence” per il 2050 sarebbe necessaria una quantità di metalli pari a 3,5 miliardi di tonnellate per la costruzione delle tecnologie green senza includere le infrastrutture necessarie per supportare la distribuzione di queste tecnologie come linee di trasmissione, ecc. È quindi una questione di scala e di proporzioni e ci si scontra con la matematica (aritmetica) ovvero la tirannia dei grandi numeri.

Lo studio mostra che per sostituire i combustibili fossili, rimpiazzandoli con le rinnovabili (Eolico, Solare, trascurando idraulico, geotermico e biomasse che invece possono e devono essere, ove possibile, potenziati), mancheranno le materie prime necessarie – ne elenco alcune in ordine alfabetico: alluminio, argento, cadmio, cobalto, disprosio, grafite, ferro, gallio, indio, litio, manganese, neodimio, nichel, rame, zinco, tellurio, terbio, ecc) e quindi non sarà possibile raggiungere l’obiettivo (ora con la guerra in corso da posticipare a data da destinarsi) che ci si è preposti entro il 2050. Pare evidente che per molte di queste materie prime siamo molto lontani dalla sostenibilità soprattutto in considerazione del fatto che i tempi medi per aprire una nuova miniera si misurano normalmente in lustri o decenni.

Per esempio la Grafite che serve per realizzare lo stoccaggio dell’energia nelle batterie (future fonti di inquinamento generalizzato) agli ioni di litio (costruzione dell’anodo) che rappresenta quasi il 55% della domanda di minerali per questa specifica applicazione. La Cina produce circa il 75% della grafite mondiale ed il 100% della grafite naturale utilizzata nelle batterie. A causa di questa dipendenza sia Usa che Ue hanno dichiarato la grafite un minerale critico. Nello scenario in esame il consumo totale di grafite sarà di oltre 200 milioni di tonnellate. Rispetto alla produzione del 2018, si stima che nel 2050, per rispettare i target previsti, la produzione annuale dovrebbe aumentare del 500%. Vi sembra possibile?

Ma non ci sono solo i materiali e i metalli rari. Il 20% delle emissioni globali di CO2 è dovuto alla produzione di 5 materiali essenziali alla rivoluzione verde: acciaio, cemento, plastica, carta e alluminio.

Saranno necessari 5 miliardi di tonnellate di calcestruzzo. La diga di Assuan (14 milioni di tonnellate). Se costruissimo altre 100 dighe uguali non saremmo neanche ad 1/3 da quello che sarebbe necessario. La produzione di plastica (statistiche Wwf) mondiale è stata nel 2018 di oltre 300 milioni di ton (8 milioni finiscono negli oceani). Il modello prospettato richiederà la produzione e lo smaltimento di 750 milioni di tonnellate.

Per estrarre elementi puri e raffinati pronti per il loro utilizzo nelle applicazioni verdi, occorre operare sulla totalità del terreno vegetale e roccia che deve essere scavata e lavorata. Circa 200 ton di minerale vengono scavate, spostate, frantumate e lavorate per arrivare ad 1 ton di rame. Per le terre rare vengono trattate da 20 a 160 ton di minerale per ton di elemento. Per il cobalto, vengono estratte e processate circa 1,500 ton di minerale per arrivare a 1 ton di minerale puro. Le minacce dell’attività mineraria alla biodiversità aumenteranno inevitabilmente con il Green New Deal e queste minacce supereranno sicuramente quelle evitate per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Inoltre perché si sono sempre trascurati i mezzi tecnologici disponibili e tuttora sempre migliorabili per abbattere gli inquinanti, quelli veri e non la CO2, degli impianti industriali, quali cementerie, acciaierie e centrali termoelettriche, ecc.? Esempio, l’acciaieria a ciclo integrale (con altoforno) di Voest Alpine a Linz (Austria) non inquina, mentre quella similare, anche se più grande, di Taranto (ex-ILVA) inquina eccome. Una ragione ci sarà.

Non è finita. L’estrazione mineraria richiede energia, tanta energia che dovrà essere disponibile a quella data (oggi non c’è). Da dove la prendiamo?

Altro che evento “che cambierà il mondo in meglio”, come piace raccontare ai giornaloni inebriati di “Gran Reset”: è lo stesso mondo di prima, ma con i difetti, i problemi e le iniquità di prima elevati all’ennesima potenza. La batteria di un’auto elettrica pesa circa 450 Kg. Fornire i minerali necessari per produrla richiede l’estrazione, lo spostamento e l’elaborazione di oltre 230 ton di materiali grezzi, mentre un motore a combustione interna utilizza poco più di 11 ton di petrolio ma per tutta la durata della sua vita (da 6 a 10 anni in media). Chi è più verde?

Sostituire una singola turbina a gas naturale da 100 MWe di una centrale convenzionale delle dimensioni di poco più di una villa residenziale che produce energia elettrica sufficiente per 75,000 abitazioni, richiede almeno 20 turbine eoliche alte oltre 150 metri ciascuna, che occupano uno spazio di oltre 30 Km quadrati di terreno (6 Km x 5 Km). Anche qui, chi è più verde?

Nel momento di emergenza che stiamo vivendo, utilizziamo tutto ciò che possiamo, senza dimenticare però che occorre anche prepararci, una volta finita l’emergenza, con dei piani concreti sia volti all’autonomia energetica che a soluzioni concrete dove pannelli e pale siano considerati non con l’appellativo e la funzione di “fonti alternative o sostitutive”, ma semplicemente come fonti addizionali da dosare con giudizio e senso critico. Pannelli e Pale (con le loro batterie) quando, tra 25 anni, dovranno essere smaltiti, diventeranno le maggiori fonti di inquinamento del nostro Pianeta.

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