C’è l’effetto Russia sul prezzo del petrolio, che avanza di oltre il 2%: Mosca ha promesso tagli di forniture a marzo. Cosa significa per il mercato e quanto aumenteranno Brent e WTI?
Il petrolio reagisce alla promessa di Mosca di tagliare le forniture da marzo.
Nello specifico, le quotazioni Brent e Wti sono balzate alla notizia, con la prima che segna 86,53 dollari al barile con un +2,40% e la seconda 79,97 dollari al barile con un +2,45% alle ore 11.00 circa.
La scossa sui prezzi del greggio è giunta con le nuove dichiarazioni del Cremlino: la Russia taglierà circa il 5% della sua produzione mensile di petrolio a marzo in risposta al tetto massimo imposto dalle nazioni occidentali. La riduzione “volontaria” di 500.000 barili al giorno della produzione russa, l’equivalente dello 0,5% dell’offerta mondiale, aiuterà a “ripristinare le relazioni di mercato”, secondo il vice primo ministro Alexander Novak.
Mosca vuole così pressare le nazioni occidentali, Europa in testa, che si sono accordate per sanzioni sulle entrate energetiche della Russia, quali il price cap a 60 dollari al barile per il greggio via mare e l’embargo sui prodotti petroliferi.
Cosa significa questa risposta del Cremlino? Come impatterà il taglio di produzione del greggio russo? Intanto, i prezzi del petrolio schizzano in rialzo.
La Russia spinge il prezzo del petrolio: cosa succede?
La Russia ritiene che il meccanismo del prezzo massimo per la vendita di petrolio e prodotti petroliferi russi interferisca con le relazioni di mercato. Continua la politica energetica distruttiva dei Paesi dell’occidente: con queste parole il vice primo ministro Alexander Novak ha annunciato la nuova mossa di ritorsione.
Il prezzo del greggio Brent è aumentato alla notizia del taglio della produzione della nazione russa, il secondo esportatore mondiale di petrolio dopo l’Arabia Saudita, aumentando di oltre il 2,5% a 86,6 dollari al barile.
Da ricordare che il G7, l’Unione Europea e l’Australia hanno concordato di vietare l’uso di assicurazioni, finanziamenti e intermediazioni marittime fornite dall’Occidente per il petrolio russo trasportato via mare con un prezzo superiore a $60 al barile dal 5 dicembre come parte delle sanzioni occidentali a Mosca per il conflitto in Ucraina. L’Ue ha anche imposto il divieto di acquisto di prodotti petroliferi russi e fissato i massimali di prezzo dal 5 febbraio.
La mossa solleverà preoccupazioni sul fatto che la Russia si stia muovendo per strumentalizzare le forniture di petrolio e utilizzarle come armi nelle pressioni sulla guerra, dopo aver tagliato le esportazioni di gas naturale verso l’Europa lo scorso anno in risposta al sostegno occidentale per l’Ucraina
Fino alla scorsa settimana, la Russia aveva ampiamente cercato di mantenere attive le esportazioni di petrolio, che forniscono più entrate statali a Mosca rispetto al gas, sui mercati internazionali. Ma gli analisti hanno avvertito che potrebbe in realtà avere difficoltà a vendere tutto il suo greggio, mentre le sanzioni occidentali si sono intensificate. La decisione del taglio del 5% di produzione al mese a marzo potrebbe anche celare tali ostacoli nella vendita.
Cosa può accadere al mercato petrolifero
La prima osservazione sugli effetti dell’annuncio di Mosca è sui prezzi del greggio in aumento. In realtà, il greggio era già sulla buona strada per il suo più grande rialzo settimanale da metà gennaio.
Questa settimana è emersa una serie di driver rialzisti, poiché l’Arabia Saudita ha mostrato fiducia nella ripresa della domanda di petrolio cinese alzando i prezzi, mentre ci sono state interruzioni in Turchia, Norvegia e Kazakistan che hanno ulteriormente ristretto l’offerta.
Proprio la dimensione dell’offerta è un altro punto in osservazione. La decisione di tagliare la produzione di petrolio è stata annunciata solo nove giorni dopo che l’OPEC+, di cui la Russia è membro, ha lasciato in vigore i tagli concordati lo scorso anno.
L’attenzione è anche rivolta all’Europa e al suo bisogno di petrolio. In realtà, l’Unione sta cercando da mesi di compensare il calo delle importazioni di greggio russo con l’aumento delle forniture dal Medio Oriente, dall’Africa occidentale, dalla Norvegia, dal Brasile e dalla Guyana. Gli Stati Uniti e il Kazakistan hanno inoltre un potenziale di offerta di circa 1,1 milioni di barili al giorno in Europa.
C’è da dire, comunque, che una parte del petrolio russo continuerà a fluire nell’Ue tramite oleodotti poiché il divieto esclude alcune raffinerie senza sbocco sul mare nell’Europa orientale. Quale impatto ne deriverà con un altro calo dei flussi russi?
Una mossa vincente per la Russia?
La decisione russa, però, può impattare anche sulle sue entrate, già indebolite da tempo. La produzione di petrolio del Paese ha sfidato numerose previsioni di un calo a causa delle sanzioni occidentali contro l’Ucraina ed è aumentata del 2% lo scorso anno a 535 milioni di tonnellate (10,7 milioni di barili al giorno) grazie a un balzo delle vendite in Asia, in particolare in India e Cina.
Tuttavia, con una serie di nuove sanzioni da parte dell’Occidente, la Russia sta affrontando ulteriori sfide nel mantenere la sua produzione di petrolio, una fonte chiave di entrate per il bilancio statale, che ha registrato un deficit di 25 miliardi di dollari solo a gennaio.
La riduzione dei volumi delle esportazioni ha anche ridotto il surplus delle partite correnti della Russia del 58,2% a 8 miliardi di dollari a gennaio, comprimendo le riserve di capitale della Russia in un momento in cui Mosca sta aumentando la spesa di bilancio.
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