La questione delle catene di approvigionamento resta centrale nella ripresa economica mondiale: un’offerta sotto stress abbinata all’aumento dei prezzi sta peggiorando le previsioni a breve termine.
Le catene di approvvigionamento di tutto il mondo sono state colpite da enormi interruzioni quest’anno, con la carenza di container, le inondazioni, la ripresa dei contagi, la mancanza di automobilisti a stressare ancora l’offerta di beni a livello globale.
Porti chiusi o nel pieno dell’ingorgo, con navi in fila prima di scaricare le merci, code nei distributori di benzina in Regno Unito per carenza di camionisti che trasportano carburante, blocchi forzati delle industrie per mancanza di risorse energetiche e prezzi alle stelle (dalla Cina all’Euoropa) stanno impattando sulla crescita.
Perché il problema delle strozzature nelle supply chain si sta aggravando. Con impatti potenziali anche sull’Italia.
Catene di approvvigionamento sempre più stressate
Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, gli operatori delle catene di approvvigionamento hanno avvertito che è probabile che ci sarà una carenza di merci o che i prezzi aumenteranno a causa dell’elevata domanda e della scarsa offerta.
Si prevede che la crisi delle supply chain colpirà la crescita in tutto il mondo, con il Fondo monetario internazionale che ha tagliato le sue previsioni di crescita globale la scorsa settimana anche per questo motivo.
Cosa sta succedendo in queste settimane? Si è attivato un circolo pericoloso, spinto da una domanda in generale ripresa nel mondo.
Rivenditori e produttori stanno ordinando in eccesso o effettuano ordini di beni prima del previsto presi dal “panico” per la massiccia crisi della catena di approvvigionamento, e questo sta peggiorando le cose. A ribadirlo è stato su CNBC Jonathan Savoir, CEO della società di tecnologia della catena di approvvigionamento Quincus:
“Poiché i problemi sono ben noti, gli ordini per materie prime, componenti e prodotti finiti vengono ora effettuati prima del normale, il che sta allungando la coda, creando un circolo vizioso”
Non solo, negli USA iniziano a verificarsi scene di scaffali vuoti. A Denver, i bambini delle scuole pubbliche devono far fronte alla carenza di latte. A Chicago, un mercato locale è a corto di prodotti in scatola. Una delle più grandi cooperative agricole statunitensi, ha affermato che i suoi operai producono abbondanti quantità di latte nei loro caseifici, ma non ci sono conducenti a sufficienza e la congestione nei porti ritarda le consegne.
I trasformatori di carne raccontano una storia simile. All’inizio di questo mese, un fornitore di carne di maiale non è riuscito a far uscire i prodotti perché non c’erano abbastanza vassoi di polistirolo.
Il colosso Danone potrebbe affrontare costi di trasporto più elevati di circa il 7%-9% per portare i prodotti negli USA. Ciò finirà per danneggiare gli investitori con margini inferiori o danneggiare i consumatori, che potrebbero ritrovarsi a pagare di più per lo yogurt al supermercato.
La questione dello stress dell’offerta mondiale, quindi, resta in gran parte irrisolta e la stessa inflazione potrebbe non trovare giovamento dagli interventi delle banche centrali. Se i porti non si liberano delle lunghe code, i prezzi continueranno a crescere.
Lo stress dell’offerta colpirà anche l’Italia
A lanciare l’allarme per l’Italia è stato Riccardo Garosci, presidente dell’Associazione Italiana Commercio Estero.
Sulle pagine del Corriere ha ricordato che la situazione mondiale attuale sta facendo crescere a dismisura i prezzi del nolo dei container, con “l’aumento del 300% dei costi negli ultimi 6 mesi non è accettabile. Se la tendenza continua a essere questa dovremo parlare di aggiotaggio e speculazione.”
Sospendere alcuni dazi all’import da Paesi extra Ue potrebbe aiutare temporaneamente a calmare l’inflazione e a far respirare le aziende. Inoltre, sanzioni come quelle alla Bielorussia per l’esportazione di potassio stanno esacerbando la situazione dell’offerta di materie prime.
Per difendere il Made in Italy nel commercio globale sarà necessario, secondo Garosci ripensare la delocalizzazione “nella direzione di accorciare le catene globali di approvvigionamento. Anche questa è sostenibilità”
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