Licenziare un dipendente ha un costo per il datore di lavoro: questo, infatti, deve farsi carico del cosiddetto ticket di licenziamento.
Molti non sanno che licenziare un dipendente ha un costo per l’azienda: il datore che interrompe anticipatamente un rapporto di lavoro risolvendo unilateralmente il contratto, infatti, deve farsi carico del cosiddetto ticket di licenziamento, il cui importo viene aggiornato ogni anno.
Chi vuole licenziare un dipendente, quindi, deve sapere non solo che lo si può fare solamente in alcune circostanze (in quanto non è consentito il licenziamento senza motivo), ma anche che tale operazione avrà un costo più o meno elevato a seconda del numero dei dipendenti interessati.
Le ragioni di questo obbligo per i datori di lavoro sono diverse: intanto si vogliono disincentivare i licenziamenti, mentre in secondo luogo si utilizzano i proventi del ticket di licenziamento per finanziare l’erogazione della Naspi agli aventi diritto (ed è per questo che viene chiamato anche ticket Naspi).
D’altronde, un lavoratore licenziato può pesare sulle casse dello Stato per un periodo che può essere persino di 24 mesi: è questa, infatti, la durata massima della cosiddetta indennità di disoccupazione, spettante a quei dipendenti che perdono il lavoro per cause indipendenti dalla loro volontà (tant’è che se ne ha diritto in tutti i casi di licenziamento).
Che cos’è il ticket di licenziamento?
Prima di vedere quanto costa al datore di lavoro licenziare un dipendente è opportuno capire cosa si intenda per ticket di licenziamento.
Introdotto con la Legge Fornero, si tratta di un contributo dovuto dalle aziende e dai datori di lavoro nei casi in cui ci sia un’interruzione del rapporto di lavoro, a meno che la stessa non sia dovuta a dimissioni da parte del lavoratore oppure per risoluzione consensuale del contratto.
Il ticket di licenziamento è nato in sostituzione all’indennità di mobilità e, a partire dal 2017, ha così sostituito il contributo d’ingresso alla mobilità per i contratti collettivi.
Come già anticipato, il ticket di licenziamento ha fondamentalmente due scopi:
- finanziare la Naspi, ossia l’unica indennità di disoccupazione riconosciuta dall’Inps a seguito del Jobs Act;
- scoraggiare i licenziamenti.
Il contributo di licenziamento è dovuto per tutti i rapporti di lavoro?
Per capire quanto può costare il licenziamento di un dipendente a un datore di lavoro bisogna però prima specificare che il contributo a carico dell’azienda non è dovuto per tutte le tipologie di rapporti di lavoro.
L’azienda o il datore di lavoro sono tenuti al pagamento del ticket di licenziamento per l’interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, o nel caso di un apprendistato interrotto alla fine del periodo di formazione.
Non è dovuto nessun contributo, invece, per la cessazione del rapporto a seguito di scadenza di un contratto di lavoro a tempo determinato o nel caso di decesso del dipendente. Niente ticket qualora sia il lavoratore a dimettersi, neppure per le dimissioni per giusta causa (che però danno diritto alla Naspi).
Esclusi dal contributo sono anche i licenziamenti di un collaboratore domestico, di un operaio agricolo o un operaio extracomunitario stagionale.
Come si calcola il contributo di licenziamento?
Dopo aver visto quando il datore di lavoro è tenuto al versamento del contributo di licenziamento, è bene ora capire come calcolare tale somma.
Di norma il datore di lavoro, a seguito di licenziamento, è tenuto a versare un contributo commisurato al massimale mensile di Naspi.
Non solo. A partire dal 1° gennaio 2018 tale contributo di licenziamento è stato raddoppiato per le imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinari e fanno ricorso ai licenziamenti collettivi.
In particolare, a partire da tale data, le imprese interessate dalle modifiche che licenzino un dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato, dovranno versare un contributo maggiorato: l’aliquota percentuale dovuta è infatti innalzata all’82%. L’importo inoltre può essere triplicato qualora il licenziamento sia avvenuto senza il previo raggiungimento di un accordo sindacale.
L’aliquota rimane invece al 41% (e non è soggetta a tali modifiche) negli altri casi e per i licenziamenti collettivi avviati entro il 20 ottobre 2017.
Il contributo si calcola in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, e senza alcuna distinzione tra tempo pieno e part-time. Si tiene conto solamente dei mesi lavorati per più di 15 giorni, per i quali la quota mensile, nel 2022, è pari a 46,49 euro.
Quanto costa il licenziamento di un dipendente al datore di lavoro?
Tenendo presente quanto visto finora e facendo i calcoli, dunque, emerge che il licenziamento di un dipendente ha i seguenti costi per un datore di lavoro (indicati dall’Inps con la circolare n. 26 del 16 febbraio 2022):
- in caso di licenziamento individuale, si calcola il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi tre anni. Considerato che il massimale Naspi per il 2017 è di 1.360,77 euro il contributo dovuto dal datore di lavoro per gli ultimi 12 mesi di rapporto è di 557,92 euro. Per i rapporti lavorativi pari o superiori ai 36 mesi il contributo può arrivare a costare 1.673,76 euro;
- in caso di licenziamenti collettivi da parte delle aziende rientranti nella CIGS il discorso si fa più complesso: l’aliquota raddoppia, raddoppiando quindi anche l’importo massimo del contributo da versare (per rapporti di lavoro di 36 mesi). Nel 2022 il contributo ammonta a 1.115,83 euro per le prime 12 mensilità, 3.347,49 euro per 3 anni. Inoltre, qualora il licenziamento collettivo manchi di un preventivo accordo sindacale, l’importo spettante deve essere moltiplicato per tre. Si arriva, quindi, alla cifra monstre di 10.042,48 euro.
Come recuperare il ticket di licenziamento dai compensi di fine rapporto dovuti al dipendente
All’esborso dovuto per il ticket di licenziamento vanno aggiunti poi i compensi di fine rapporto spettanti al dipendente. Va detto, però, che proprio da questi, in alcuni casi, è possibile sottrarre il costo sostenuto per il ticket di licenziamento: è così quando il licenziamento è dovuto a un grave inadempimento da parte del lavoratore, ad esempio nei casi di reiterata assenza ingiustificata dal lavoro.
Anche a seguito di licenziamento per giusta causa, d’altronde, il dipendente ha diritto alla Naspi e di conseguenza il datore di lavoro è soggetto al pagamento del suddetto ticket. Tuttavia, diversi giudici hanno ritenuto che in questo caso l’azienda può rifarsi direttamente sul dipendente trattenendo dalle competenze di fine rapporto l’equivalente del ticket di licenziamento.
Ovviamente non si tratta di un processo automatico, in quanto deve essere un giudice - a cui può rivolgersi direttamente l’azienda per far causa al dipendente - a dover autorizzare il recupero delle somme esborsate a titolo di ticket di licenziamento.
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