Quanto può sopravvivere il coronavirus nell’aria? Uno studio propone una nuova ipotesi.
Quanto sopravvive il coronavirus nell’aria? Questa è una delle tante domande alle quali diversi studi in tutto il mondo stanno cercando di rispondere.
Una nuova ricerca, che ha analizzato le capacità di sopravvivenza del virus, ha messo in luce che le particelle infettive della COVID-19, messe a confronto con quelle di SARS e MERS, risultano più persistenti quando immesse nell’aria.
La ricerca in questione, come riporta ANSA, è stata pubblicata sul sito MedRxiv e condotta negli Stati Uniti dalla Tulane University in collaborazione con l’Università di Pittsburgh e il National Institute of Health.
Quanto sopravvive il coronavirus nell’aria? Nuove ipotesi
Secondo i ricercatori che hanno partecipato allo studio, il coronavirus avrebbe vita lunga nell’aria: le particelle infettive potrebbero infatti restare in sospensione aerea fino a 16 ore.
Si tratta di un periodo molto più lungo rispetto a quello osservato dagli scienziati nelle particelle dei virus della stessa famiglia, ma che sono stati responsabili di malattie come SARS e MERS.
Inoltre, anche le goccioline che produciamo con starnuti o colpi di tosse, che sono le maggiori responsabili della diffusione dei contagi, possono rimanere nell’aria per un certo periodo di tempo prima di cadere a terra.
Un altro recente studio del National Institutes of Health americano, aveva stabilito la rilevabilità del coronavirus nell’aria per un massimo di tre ore. Ma l’OMS, a proposito di tale scoperta, aveva precisato la possibilità che queste particelle resistessero nell’aria anche più a lungo.
Adesso, sembra giunta la conferma a questi dubbi, ma resta sempre aperta la questione dell’impatto ambientale e su come questo influisca o meno sul ciclo di vita del coronavirus.
La trasmissione nell’aria: quanto c’è da preoccuparsi?
Con l’estate ormai alle porte, in tanti si sono chiesti se il coronavirus potesse sopravvivere nell’aria e diffondersi, ad esempio, attraverso condizionatori o climatizzatori.
Si tratta di un’ipotesi che gli studiosi hanno smentito. Al contrario, è stata più volte confermata l’importanza di arieggiare gli ambienti. Secondo il virologo Fabrizio Pregliasco, negli spazi chiusi, mantenendo le dovute distanze e se questi vengono spesso arieggiati e disinfettati, non si corrono particolari rischi di contagio.
Sebbene gli studiosi abbiano confermato che il coronavirus non si propaghi nell’aria e non si diffonda per via aerea, ma attraverso “droplets”, le goccioline degli starnuti e della tosse, la scoperta della sua possibile sopravvivenza per almeno 16 ore nell’aria, potrebbe cambiare le carte in tavola.
Nel dubbio, l’uso della mascherina resta un valido aiuto anche per scongiurare la possibilità che il contagio avvenga per via aerea.
Perché il coronavirus colpisce maggiormente gli uomini?
Nel frattempo, mentre qualcuno cerca di fare chiarezza su quanto sopravviva il coronavirus nell’aria, un altro studio ripreso dal sito MedRxiv ha messo in luce un’ipotesi inedita e interessante su come agisce la malattia.
Autori della ricerca sono l’americano Montefiore Health System, l’Albert Einstein College of Medicine e L’Ospedale Kasturba di Mumbai in India, che hanno indagato sul perché il coronavirus abbia colpito maggiormente e più gravemente gli uomini rispetto alle donne.
Il motivo potrebbe risiedere nei testicoli. Secondo la ricerca è proprio qui che il coronavirus avrebbe trovato un rifugio sicuro dove attecchire e moltiplicarsi.
Il recettore umano ACE2, infatti, punto d’ingresso del virus nell’organismo, è presente in grandi quantità in questi ultimi, proprio come nel tessuto polmonare, intestinale e cardiaco, mentre nelle ovaie, la concentrazione di questa sostanza è molto più bassa.
Per il momento, si tratta solo di un’ipotesi e lo studio dovrà essere sottoposto a peer-review, ma mette sul piatto informazioni che potrebbero rivelarsi utili per aggiungere un importante tassello al puzzle.
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