Quanto tempo va concesso all’inquilino per liberare la casa in affitto?

Ilena D’Errico

20 Agosto 2024 - 22:24

Ecco quanto tempo va concesso all’inquilino per liberare la casa in affitto secondo la legge. Tutte le tempistiche utili da conoscere a seconda dei casi.

Quanto tempo va concesso all’inquilino per liberare la casa in affitto?

Il rapporto che si crea tra le parti di una locazione a uso abitativo può divenire molto complicato, soprattutto al termine del contratto d’affitto. La necessità del proprietario di liberare l’immobile si scontra inevitabilmente con il bisogno di una nuova casa dell’inquilino e della sua famiglia. Per questo motivo i locatori si chiedono quanto tempo va concesso all’inquilino per lasciare la casa in affitto, alla ricerca di un compromesso soddisfacente per entrambi.

D’altra parte, ci sono anche situazioni in cui il locatore non ha alcun interesse nel prorogare la permanenza dell’affittuario e vuole che liberi l’appartamento al più presto, senza però violare le norme di legge. Fortunatamente, la regolamentazione in materia è abbastanza chiara da non lasciare spazio a dubbi, anche se deve essere applicata correttamente caso per caso.

Innanzitutto è bene partire dal motivo per cui l’inquilino è chiamato a lasciare l’appartamento, se per iniziativa di una delle parti o per scadenza naturale del contratto. Ancora diversa l’ipotesi in cui è stata avviata una procedura di sfratto, che non garantisce tempistiche prefissate certe ma solleva il proprietario dalle preoccupazioni relative al tempo da concedere. Analizziamo queste diverse situazioni.

L’inquilino ha disdetto e vuole una proroga

L’inquilino può scegliere di cambiare casa comunicando al locatore la disdetta o il recesso dal contratto di locazione. La disdetta consiste nel mancato rinnovo del contratto alla prima scadenza programmata. Per esempio, in un contratto d’affitto con la formula 3+2 l’affittuario può impedire il rinnovo automatico dopo che sono trascorsi 3 anni.

Il recesso dal contratto di locazione, invece, prescinde dalle scadenze contrattuali ma può essere esercitato esclusivamente per gli eventuali motivi esplicitati nel contratto stesso o in caso di gravi cause che impediscono il godimento dell’immobile. In ogni caso, al locatore spetta un preavviso minimo di 6 mesi, durante i quali è essenziale che venga corrisposto il canone pattuito a prescindere dalla permanenza nell’immobile.

Dal momento in cui il proprietario riceve validamente la comunicazione, per mezzo raccomandata a/r o pec, dovrà lasciare la casa all’inquilino per un massimo di 6 mesi. Nel frattempo, può proporre di lasciare l’immobile anticipatamente per locarlo a terzi ma non può imporlo all’inquilino, anche se tendenzialmente è una soluzione apprezzata. Ovviamente, se l’inquilino non paga il canone ricorrono gli estremi per lo sfratto indipendentemente dalla disdetta.

Se l’inquilino chiede una proroga alla scadenza dei 6 mesi, come spesso accade, il padrone di casa non è affatto tenuto a concederla. Può ammettere del tempo in più se vuole, ma la legge non glielo impone e anzi gli permette di attivare una procedura di sfratto per finita locazione se il conduttore si trattiene più del dovuto, non essendo la disdetta (o recesso revocabile) e può avanzare una richiesta di risarcimento danni per i canoni di locazione persi.

Il proprietario di casa ha disdetto

Anche il locatore può comunicare la disdetta del contratto d’affitto, sebbene in modo molto più limitato rispetto alla controparte. Il proprietario di casa, infatti, può negare il rinnovo del contratto soltanto in occasione della prima scadenza o comunicare la disdetta alle scadenze successive. Anche le eventuali clausole concordate che attribuiscono maggiori poteri sono prive di valore legale.

In caso di primo rinnovo, peraltro, è necessario motivare la decisione con motivazioni valide (per esempio la necessità di destinare l’immobile a un figlio). Il padrone di casa è però sempre tenuto a dare notizia al conduttore con un preavviso minimo di 6 mesi, anche in questo caso tramite una raccomandata a/r o una pec.

Se la comunicazione è regolarmente avvenuta, il proprietario non è tenuto a lasciare più tempo del previsto all’inquilino, a meno che non voglia spontaneamente. Non può nemmeno mandarlo via prima, a meno che ricorrano i presupposti per uno sfratto.

Il proprietario ha chiesto lo sfratto

Così come l’affittuario può esercitare il diritto di recesso in caso di gravi motivi, parimenti il locatore ha diritto a chiedere lo sfratto. I “gravi motivi” del proprietario sono soltanto due: la finita locazione e la morosità. Quest’ultima si concretizza quando l’inquilino non ha pagato il canone d’affitto o le spese accessorie per un importo superiore a 2 mensilità del canone, con un ritardo di almeno 20 giorni.

A questo punto il locatore può ricorrere al tribunale e ottenere dapprima un’ingiunzione di pagamento e poi una convalida di sfratto (che può richiedere un tempo variabile a seconda dell’opposizione degli inquilini e dell’eventuale termine di grazia concesso). In ogni caso, non spetta più al locatore pensare alle tempistiche per il rilascio dell’immobile, sarà il giudice a fissare una data ultima. Oltre questo termine lo sfratto può infatti venire eseguito per mezzo degli ufficiali giudiziari, che possono avvalersi della forza pubblica.

Ovviamente, dal punto di vista legale nulla impedisce al padrone di casa di aspettare più tempo del previsto per pretendere il rilascio, ma non esiste alcun obbligo in questo senso. Oltretutto, viste le tempistiche non sempre prevedibili appieno non appare giustificato temporeggiare, prendendo atto che un provvedimento di sfratto presuppone la mancanza di collaborazione e buona fede della controparte.

La medesima procedura può essere attivata anche in caso di affitto in nero, richiedendo tuttavia più tempo per gli accertamenti. C’è altrimenti lo sfratto per finita locazione, utile quando il contratto è scaduto o non è stato rinnovato, altra ipotesi in cui il padrone di casa non è chiamato a concedere tempo ulteriore.

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