Ecco cos’ha deciso la Cedu in merito alla fine del matrimonio per il diniego ad avere rapporti sessuali con il coniuge.
La Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta di recente su un tema assai spinoso: l’addebito della separazione per il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge. La Cedu ha affrontato la questione toccando i temi della riservatezza e delle interferenze dei tribunali in merito a questioni tanto intime, ma anche della lotta alla violenza domestica e di genere. Pronunciandosi sul caso su cui è stata interpellata, la Corte ha concluso che i rapporti intimi con il partner non devono essere annoverati tra i doveri coniugali derivanti dal matrimonio.
Un’interpretazione di questo tipo rischia infatti di porsi in maniera contrastante con la libera autodeterminazione sessuale, che deve essere garantita e preservata anche in costanza di matrimonio, e di restituire uno specchio fuorviante del requisito del consenso. Questa sentenza risulta quindi particolarmente attuale, in un clima di sensibilizzazione rispetto a queste tematiche. Bisogna tuttavia fare attenzione a non estendere eccessivamente l’interpretazione della Cedu, che non nega a priori la colpa della separazione, quanto piuttosto chiede maggiore premura nell’identificazione degli obblighi matrimoniali e nelle interferenze dell’autorità con la sfera personale dei cittadini.
I rapporti sessuali non sono doveri coniugali
La Cedu si è pronunciata sul ricorso n. 13805/2021 “H.W. c. Francia” individuando una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per l’appunto diritto al rispetto della vita privata e familiare. La ricorrente ha infatti lamentato i presupposti su cui il tribunale ha accolto la richiesta di divorzio, in particolare addebitandole interamente la colpa della rottura matrimoniale in ragione al diniego “ingiustificato” di intrattenere rapporti sessuali con il marito. Il problema principale, in base a quanto evidenziato dalla Corte, risiede nell’ordinamento civilistico francese. Quest’ultimo annovera infatti i rapporti intimi tra i veri e propri doveri derivanti dal matrimonio, prevedendo quindi l’addebito della separazione e anche un risarcimento danni in caso di violazione. Secondo la Corte, che peraltro ha deciso all’unanimità, si tratta di un’ingerenza immotivata nella sfera personale degli individui. La decisione della Corte d’Appello di Versailles, che ha ricalcato la normativa adducendo la colpa per una “grave e ripetuta violazione dei doveri e degli obblighi coniugali, rendendo impossibile la prosecuzione in uno stato di matrimonio”, è stata quindi contestata duramente.
Una norma simile, soprattutto quando applicata senza un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco, rischia infatti di pregiudicare la libertà sessuale individuale e l’autonomia fisica. La Cedu ha inoltre ricordato l’obbligo di prevenzione e contrasto della violenza domestica, certo non assolto presentando l’unione sessuale come un vero e proprio obbligo di legge. Viene così a mancare una propria definizione del consenso, fondamento giuridico imprescindibile per distinguere ogni legittimo rapporto da violenza, abuso e stupro. Il cosiddetto marital rape è infatti ancora oggi uno scoglio non indifferente e interpretazioni sulla scia di quella oggetto di ricorso rischiano di minare gravemente la sua punibilità. Il consenso non può essere fornito una tantum con l’atto di matrimonio, ma per sua stessa natura deve essere presente e validamente prestato (in maniera espressa o tacita) in ogni momento del rapporto, nonché in qualsiasi momento revocabile.
Da questo punto di vista, l’ordinamento italiano, grazie a una più generica definizione, non pone ostacoli insormontabili. Il nostro Codice civile parla piuttosto di assistenza morale e materiale, un ampio spettro in cui la giurisprudenza annovera anche l’unione fisica tra i coniugi, ma in maniera profondamente diversa. Il diniego è causa di addebito della separazione soltanto quando prolungato, immotivato e dimostrato nesso causale della fine del matrimonio. Le sentenze della Corte di Cassazione (italiana) che confermano questo principio ricordano puntualmente che non si tratta di un dovere coercibile o imponibile, non ponendo inoltre la colpa della separazione come condizione intimidatoria. Tanto per fare un esempio, in caso di problemi preesistenti nell’armonia di coppia il rifiuto ad avere rapporti sessuali con il coniuge non è mai causa di addebito della separazione (circostanza che, in ogni caso, non comporta automatici pregiudizi economici oltre al mancato diritto al mantenimento).
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