Niente recessione in Europa, dove il settore dei servizi cresce più delle attese. La crisi è quindi scongiurata nel vecchio continente? Non proprio, e i motivi sono almeno 2.
L’Europa sempre più lontana dalla recessione, ma almeno 2 problemi possono ancora mettere a dura prova il vecchio continente.
La lettura degli ultimi dati sulle attività e la valutazione sull’inflazione gettano luci e ombre sulla reale ripresa economica del blocco.
Sebbene ci siano segnali positivi, come la crescita che continua a salire a marzo, trainata esclusivamente dal settore dei servizi mentre si attenuano i timori per le forniture energetiche, altri campanelli di allarme ricordano che l’ottimismo deve essere molto cauto.
Il vecchio continente, infatti, non brilla in almeno 2 ambiti, quali la ripresa del settore manifatturiero e il livello dei prezzi al consumo, con l’indice core alto che sta spingendo la Bce a persistere con la politica aggressiva del costo del denaro.
L’Europa può evitare la recessione, ma il 2023 rimane pieno di insidie.
L’Europa non va in recessione, ma la manifattura crolla
La buona notizia è che il tasso complessivo di espansione in Eurozona è salito al livello più alto in 10 mesi, secondo i sondaggi S&P Global per il mese di marzo (lettura preliminare e non definitiva).
“La crescita è stata sostenuta e si è allontanata dai minimi della fine dello scorso anno, poiché i timori di recessione e le preoccupazioni del mercato energetico stanno svanendo, le pressioni inflazionistiche si stanno allentando e i ritardi senza precedenti della catena di approvvigionamento osservati durante la pandemia sono migliorati”, ha affermato Chris Williamson economista presso S&P Global.
Il sentiment in Europa è cresciuto e diventato più ottimista quando è apparso chiaro che la regione avrebbe evitato gli scenari peggiori sulla fornitura di gas naturale previsti dopo che la Russia aveva interrotto i flussi.
Anche le recenti turbolenze nel settore bancario che hanno sollevato qualche dubbio su come si evolverà l’economia globale, hanno visto l’Europa e l’insieme delle sue banche fuori da un potenziale contagio.
C’è da sottolineare, inoltre, che anche le due maggiori economie dell’area dell’euro, Francia e Germania, hanno registrato la più forte crescita del settore privato in 10 mesi, con la resilienza dei servizi che ha compensato il crollo della produzione.
Proprio questo ultimo punto rappresenta una delle due note dolenti per l’Europa. Le letture manifatturiere per entrambi i Paesi sono rimaste chiaramente al di sotto della soglia 50 che separa la contrazione dall’espansione, un segnale di avvertimento per chi vorrebbero dirsi completamente fuori pericolo, in particolare nella Germania dove l’industria è un peso massimo.
In generale, in tutta l’Euorozona l’indebolimento della domanda di manufatti ha aggravato la flessione nel settore industriale. Il PMI manifatturiero principale è sceso a 47,1 dal 48,5 di febbraio.
Come sottolineato da Paolo Grignani di Oxford Economics: “La crescita rimane sbilanciata, poiché la produzione manifatturiera e i nuovi ordini sono diminuiti, mentre i servizi hanno mostrato un aumento inaspettato.”
Un’industria ancora debole è un segnale da non sottovalutare, soprattutto perché legato anche alla domanda di consumi di beni ristretta da redditi ancora erosi da prezzi elevati.
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Il secondo problema da tenere in considerazione quando si riflette sulla capacità dell’Europa di crescere riguarda l’inflazione. I prezzi al consumo nell’indice core sono ancora alti e questo avrà ancora conseguenze negative sull’Europa.
L’indagine sui PMI, basata sulle risposte raccolte tra il 10 e il 17 febbraio, ha mostrato un aumento dei prezzi medi di vendita, poiché le aziende hanno trasferito una parte ampia dei loro costi più elevati ai clienti. S&P Global ha affermato che ciò è in parte legato “all’impatto dell’aumento dei salari”, sebbene il tasso sia leggermente rallentato rispetto a gennaio.
In sintesi, come spiegato da Williamson, “tali ostinate pressioni inflazionistiche, alimentate principalmente dal settore dei servizi e dall’aumento dei costi salariali, saranno una preoccupazione per i responsabili politici e suggeriscono che potrebbe essere necessario più lavoro...”.
Tradotto: se i prezzi sono ancora alti, la Bce proseguirà - come ha lasciato intendere - con ulteriori rialzi del costo del denaro, reprimendo l’accesso al credito di imprese e cittadini, con un più alto rischio di recessione.
La fiducia delle imprese nelle prospettive del business è diminuita in Eurozona, sebbene sia rimasta ben al di sopra dei livelli osservati alla fine del 2022. Ciò potrebbe essere collegato alle preoccupazioni per l’incertezza causata dallo stress del settore bancario e dall’impatto di ulteriori aumenti dei tassi di interesse, ha affermato S&P Global.
Il commento di Bloomberg Economics al riguardo è chiaro: “l’indagine PMI composita dell’area dell’euro di marzo suggerisce che l’economia sta iniziando a emergere da un periodo di stagnazione e resiste bene sotto il peso dei tassi di interesse più elevati. Mentre la politica monetaria farà sentire i suoi effetti non nell’immediato e le acque potrebbero ancora essere agitate, la resilienza dell’economia dovrebbe consentire ai falchi della Bce di riuscire a spingere per ulteriori aumenti dei tassi di interesse.”
Il banchiere tedesco Nagel ha ribadito che sarà necessario alzare i tassi a livelli sufficientemente restrittivi per riportare tempestivamente l’inflazione al 2%. Allo stesso modo, “dovremmo mantenere i tassi ufficiali sufficientemente alti per tutto il tempo necessario a garantire una stabilità duratura dei prezzi”
Inflazione core alta significa un costo del denaro ancora in crescita. E questo può essere un problema per l’Europa.
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