I capi di governo dell’Ue hanno raggiunto un primo accordo politico per contrastare l’inflazione e il piano americano Ira, con uno “scambio” tra Italia e Germania, ma il fondo comune per ora non c’è.
I primi ministri e capi di Stato dell’Unione europea hanno raggiunto un primo accordo sui nuovi strumenti da utilizzare per contrastare l’inflazione e la minaccia competitiva del piano green “Ira” degli Stati Uniti. Per ora nessun nuovo fondo comune alla Recovery Fund o alla Sure (seguendo il modello di quanto fatto dall’Ue durante le prime ondate di Covid-19), ma un intervento a “doppio binario”: aiuti di Stato più facili e utilizzo più flessibile dei fondi europei già esistenti.
Insomma, un compromesso tra i Paesi del Sud e quelli del Nord, con l’evidente do ut des tra Italia e Germania, che era già stato in qualche modo anticipato da Giorgia Meloni e Olaf Scholz durante il loro incontro a Berlino della settimana scorsa. La sostanza è: più aiuti di Stato senza vincoli europei, in cambio di possibili modifiche al Pnrr e un uso più flessibile dei fondi di coesione.
Aiuti di Stato, cosa prevede l’accordo al Consiglio Ue
L’accordo, raggiunto a Bruxelles nella notte tra il 9 e il 10 febbraio, prevede procedure sugli aiuti di Stato “più semplici, più rapide e più prevedibili”, che devono consentire di “fornire rapidamente un sostegno mirato, temporaneo e proporzionato, anche attraverso i crediti d’imposta, nei settori strategici per la transizione verde e che subiscono l’impatto negativo dei sussidi esteri”.
Contemporaneamente viene precisato, su richiesta di alcuni Paesi come l’Italia, che per evitare una frammentazione del mercato unico tra Paesi più ricchi o con meno debito e Paesi più poveri o più indebitati, che l’Ue vuole rendere più flessibile l’uso dei fondi comuni. Quindi sostanzialmente: i fondi di coesione e quelli del Next Generation Eu.
“Dovrebbero - recita l’accordo - anche essere esplorate nuove opzioni per facilitare l’accesso ai finanziamenti. Il Consiglio europeo invita la Commissione e il Consiglio a garantire la piena mobilitazione dei finanziamenti disponibili e degli strumenti finanziari esistenti”.
Quanto al nuovo fondo sovrano, nelle conclusioni si dice soltanto che “il Consiglio europeo prende atto dell’intenzione della Commissione di proporlo prima dell’estate 2023”. Una formula vaga, ma anche fin troppo chiara: non tutti sono d’accordo.
Perché la Germania vuole più aiuti di Stato
Il governo tedesco è quello che in questo momento si oppone con più forza (con il solito appoggio dei “falchi” come l’Olanda) a un nuovo fondo comune, con eventuali sussidi diretti per proteggere l’industria europea dalle tensioni economiche degli ultimi mesi. Contemporaneamente, però, Berlino ha trovato la sponda della Francia nel chiedere un allentamento sulle norme europee che regolano gli aiuti di Stato.
I due ministri dell’economia dei governi tedesco e francese sono andati assieme a Washington per provare a strappare condizioni favorevoli agli Stati Uniti sul piano Ira. Insomma, includere più aziende europee nei sussidi miliardari previsti dal governo Biden per il mondo industriale, utili a stimolare la transizione ecologica e contrastare il caro-prezzi.
Formalmente è stata una missione per conto di tutta l’Ue, ma è evidente l’interesse di parte dei due Paesi ad avere un minor svantaggio competitivo ed eventualmente a usare tutto il loro margine fiscale per affrontarlo, anche a discapito degli altri Paesi europei. Tra l’altro il binomio dei due Paesi in solitaria è stato confermato anche dall’incontro a tre Scholz-Macron-Zelensky sulla guerra in Ucraina, che tanto ha fatto infuriare l’esclusa Meloni.
Berlino vuole quindi evitare di caricarsi sulle spalle nuovo debito per finanziare un fondo comune e contemporaneamente ridurre i vincoli sugli aiuti di Stato per aumentare i finanziamenti nei settori green. Una strategia che premia chi, proprio come la Germania, ha bilanci più solidi di altri (tra cui l’Italia) e di conseguenza più margini d’intervento tramite la spesa pubblica. Il settore dell’auto tedesca, d’altronde, è quello che in Europa è più messo in difficoltà dal piano statunitense Ira e per questo il timore del governo federale di ripercussioni sull’economia nazionale è alto.
Consiglio Ue e fondo sovrano, l’Italia di Meloni ha vinto?
La presidente Meloni, però, ostenta solidità. “Siamo molto soddisfatti - ha detto - dei risultati di questo Consiglio europeo, ma penso che valga la pena di appronfondirlo sui vari temi”. In conferenza stampa parla di passi avanti rilevanti, con una discussione a trecentosessanta gradi sulle catene di approvvigionamento in Europa.
Quindi ha detto di aver insistito sul fondo sovrano europeo, come risposta comune a un problema comune. “Siamo consapevoli che richieda tempo - ha spiegato - e ora come ora non ce n’è: allora abbiamo ottenuto che anche le nazioni che hanno meno spazio fiscale abbiano dei vantaggi e di tenere conto di queste decisioni anche nella riforma del Patto di stabilità, con il tema dei cofinanziamenti nazionali da risolvere”.
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Fondo europeo anti-inflazione, la strategia di Meloni contro la Germania
La strategia italiana prima dell’inizio del Consiglio era quella di provare a convincere la Francia ad avvicinarsi alle sue posizioni e mettere nell’angolo la Germania, ponendola contro sia i Paesi del Nord (a partire dall’Olanda) che quelli del Sud, per ragioni opposte. L’obiettivo era “vincere” in ogni caso: o, come primo target, portare a casa il nuovo fondo europeo oppure negoziando le oramai famose modifiche al Pnrr.
Quello che ottiene Meloni, però, è un compromesso al ribasso: ci si è avvicinati solo al secondo obiettivo, senza un’esplicito via libera a cambiamenti sostanziali al Piano di ripresa e resilienza. Su questo fronte la Commissione Ue, che si occupa di valutare proprio le revisioni ai Pnrr, ha fatto sapere che i margini sono ristretti. Ora viene delegata a rivedere gli aiuti di Stato e in generale le regole di ingaggio dei fondi comuni.
In tutto ciò, nonostante Meloni dica che i rapporti Italia-Francia non siano compromessi, la tensione sembra aumentata e lo dimostra la frase di Salvini sulla “spocchia” del presidente francese.
Le possibili modifiche al Pnrr
Al momento l’Italia è in ritardo nella spesa dei fondi del Next Generation. Finora abbiamo ottenuto 67 miliardi su 200 totali. Per il governo, a causa di diversi fattori, tra cui l’inflazione, molti progetti sono “superati”, con i bandi che rischiano di fallire.
Secondo le regola attuali qualsiasi modifica al Pnrr, anche se minima, necessita di un negoziato con l’esecutivo comunitario e poi di una decisione attuativa del Consiglio. Sicuramente l’Italia procederà con la richiesta di introdurre nel Piano i fondi del RePower Eu, mettendo dentro altri miliardi per la transizione ecologica e la sicurezza energetica.
Per il resto il monito della Commissione è non ridurre “l’ambizione complessiva dei progetti, in particolare per quanto riguarda le misure che contribuiscono al raggiungimento di obiettivi verdi e digitali”.
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