Ritardo al lavoro per portare i figli a scuola, cosa si rischia?

Claudio Garau

22 Novembre 2022 - 13:21

La lavoratrice madre che subisce una sanzione disciplinare perché ritarda l’ingresso a lavoro per accompagnare i figli a scuola, può contestarla perché discriminatoria? Facciamo chiarezza.

Ritardo al lavoro per portare i figli a scuola, cosa si rischia?

I lavoratori che firmano il contratto all’assunzione sanno bene che, al fine di ricevere lo stipendio, si debbono impegnare non soltanto a svolgere le mansioni e le attività su cui hanno preparazione e competenza, ma anche a rispettare una serie di obblighi nei confronti dell’azienda e del datore di lavoro. Tra essi c’è quello attinente all’orario di lavoro, la cui disciplina è inclusa in particolare nel d. lgs. n. 66 del 2003, provvedimento che definisce l’orario di lavoro come ogni periodo nel quale il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

La specifica questione relativa all’orario di lavoro, di cui qui vogliamo parlare e su cui vogliamo fare chiarezza, riguarda la posizione della lavoratrice madre che, in quanto tale, ha la responsabilità e il compito di portare i figli a scuola al mattino, poco prima dell’inizio della giornata lavorativa. Ebbene sono da ritenersi discriminatori, o comunque illegittimi, i provvedimenti disciplinari emessi dal datore di lavoro a causa del ritardo nell’ingresso in ufficio proprio per espletare il citato compito? Scopriamolo assieme nel corso di questo articolo.

Orario di lavoro e doveri del lavoratore: il contesto di riferimento

Dalle ore di lavoro svolte dipende l’obbligo di retribuire il lavoratore. Infatti ogni aspetto del rapporto del lavoro è correlato agli altri: in particolare l’orario di lavoro permette di individuare la durata della prestazione lavorativa e la retribuzione valevole per il lavoratore che la svolge. Ecco perché è di rilievo una questione come quella appena esposta e che attiene al comportamento della lavoratrice madre.

Peraltro non vi sono dubbi a riguardo: rispettare i propri orari di lavoro, oltre che costituire un obbligo, è segnale di affidabilità e senso di responsabilità del lavoratore. Oggetto di disciplina nei vari Ccnl di categoria, l’orario di lavoro mira ad assicurare tutela e sicurezza del lavoratore da una parte, garantendo anche ferie e permessi per riposo dovuto, e dall’altra a porre doveri a cui lo stesso lavoratore o lavoratrice deve adeguarsi - così come indicato nel testo del contratto di lavoro individuale.

In linea generale, coloro che trasgrediscono e non rispettano quanto previsto dal contratto - in rapporto all’orario di lavoro - vanno incontro a sanzioni disciplinari di varia entità o gravità in base alla violazione commessa. D’altronde un caso non è mai uguale ad un altro.

In particolare, in tema di orario di lavoro e di ritardo ingiustificato del lavoratore sono in gioco differenti sanzioni disciplinari, ma talvolta non sono previste conseguenze per chi vìola l’orario. Si tratta di quei casi di ritardo isolato, a causa di un contrattempo o imprevisto che può accadere a tutti (ad es. guasto alla propria auto, coda per incidente ecc.).

Ben diversa la situazione di chi ritarda più volte, e magari in un arco di tempo particolarmente ristretto: in queste circostanze, infatti, se non vi sono valide giustificazioni da poter dare scatteranno sanzioni ad hoc, in base a quanto previsto dai contratti collettivi. Dette sanzioni saranno graduate in base alla gravità del comportamento e si può partire da un mero rimprovero scritto per arrivare anche ad un possibile licenziamento nei casi più gravi. Chiaro che un lavoratore che ritarda l’ingresso più volte nell’arco di una settimana o mese, non può pensare di passarla liscia.

Tra esigenze e obblighi dei genitori e rispetto dell’orario di lavoro: un provvedimento giudiziario di indubbio rilievo sulla questione

Dopo queste opportune premesse, consideriamo da vicino la questione della donna lavoratrice che accompagna i figli piccoli all’asilo o a scuola. Sono davvero discriminatori i provvedimenti disciplinari emessi per punire il ritardo alla mattina a causa dell’espletamento di questo essenziale impegno per un genitore?

Ebbene, vero è che - in linea generale - il datore di lavoro ha assolutamente il diritto di emettere regole e direttive ad hoc contro le violazioni in tema di orario di lavoro - d’altronde c’è di mezzo l’organizzazione e la produzione aziendale. Perciò il capo potrà ben richiedere giustificazioni scritte per il ritardo, pena il rischio di sanzioni disciplinari di gravità crescente in base al numero di violazioni commesse. Ma pensiamo anche ai quei casi in cui il datore avvisa il personale che, timbrando il cartellino dopo le 9:30, si viene considerati in “permesso breve non retribuito”, con tutte le conseguenze che ne dipendono.

Tra le giustificazioni che una lavoratrice può dare al ritardo vi è appunto quella relativa all’accompagnamento dei figli a scuola: se nessun’altro in famiglia può farlo, la donna lavoratrice che adempie a questo obbligo, può affermare di aver subito una sanzione disciplinare discriminatoria? Di per sé la questione è di indubbio rilievo perché coinvolge un’ampia fetta delle lavoratrici.

A chiarire come stanno effettivamente le cose ci hanno pensato i giudici, con l’ordinanza n. 1414 del 22 ottobre 2019 del Tribunale di Firenze. La magistratura, nel caso concreto affrontato, è partita da un dato di fatto: le esigenze, le necessità e i doveri di cura della prole sono prevalenti rispetto ai doveri legati al rispetto dell’orario di lavoro ed, anzi, possono verosimilmente far sorgere il bisogno di ritardare l’ingresso al lavoro o anticipare l’uscita. Il provvedimento tiene conto del fatto che almeno un genitore a famiglia deve prendersi cura dell’accompagnamento dei bambini presso l’asilo, le elementari o le altre scuole. E c’è chi non può contare sul servizi di scuolabus o sulla disponibilità dell’altro genitore (ad es. perché lavora di notte) o dei nonni (perché ad es. molto anziani).

Sanzionare la lavoratrice madre che ritarda per accompagnare i figli a scuola è illegittimo?

Le sanzioni disciplinari per chi ritarda l’ingresso al lavoro (o esce prima per andare a prendere i figli a scuola) non sarebbero dunque giustificabili con le esigenze aziendali, perché ’discriminatorie’. Esse andrebbero a danno proprio dei lavoratori genitori che devono badare ai suddetti compiti e che dunque, verrebbero messi sullo stesso piano dei lavoratori senza figli. In questi casi, si parla di discriminazione indiretta, ovvero di una condotta che può generare effetti lesivi verso uno o più lavoratori appartenenti a una certa categoria.

Ebbene secondo la giurisprudenza citata, una discriminazione indiretta ricorre quando l’ordine di servizio del datore contiene anche solo il rischio potenziale di mettere in posizione di svantaggio alcuni lavoratori - in questo caso le lavoratrici madri. Non solo: in tema di discriminazioni indirette in generale è intervenuta anche la Corte di giustizia UE, secondo cui è sufficiente che una sola persona risulti lesa, per provare la sussistenza di una discriminazione e dunque uno svantaggio ingiustificato a danno di un lavoratore.

Secondo questo articolato ma logico percorso, ben comprendiamo perché il tribunale fiorentino indicò un caso di discriminazione indiretta nell’emissione di una sanzione disciplinare per chi arriva in ritardo a lavoro, dopo aver accompagnato i figli all’asilo o a scuola. Infatti, in queste circostanze si trovano ad essere penalizzate proprio le lavoratrici madri che, a differenza delle lavoratrici senza figli, sono costrette a combinare - non senza difficoltà - le responsabilità e i compiti di genitore con quelli di dipendente. In altre parole, sanzionarle vorrebbe dire mettere in una situazione di svantaggio chi lavora e ha figli da portare a scuola, rispetto agli altri lavoratori.

Conclusioni

Alla luce di quanto abbiamo detto, la lavoratrice che si veda inflitta una sanzione disciplinare per questo motivo, potrà certamente contestarla ritenendola ’discriminatoria’. In sintesi, vero è infatti che un ordine di servizio che statuisce in modo severo sull’orario di lavoro può svantaggiare i dipendenti-genitori rispetto a quelli non-genitori.

Se infatti può essere difficoltosa la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ne consegue che i dipendenti genitori sono gravati da un maggior rischio di incorrere in violazioni disciplinari collegate ai ritardi.

Ecco perché la lavoratrice madre potrà tutelarsi nelle sedi opportune e ottenere la rimozione degli ordini di servizio troppo rigidi perché in grado di danneggiare alcuni lavoratori, ma non altri. Il ritardo in questi casi è dunque lecito.

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