«Russia e Ucraina? C’è ancora spazio per la diplomazia. Ecco cosa si gioca l’Italia». Intervista al prof. Niglia

Emiliana Costa

17/02/2022

La crisi tra Mosca e Kiev non accenna a placarsi, gli Usa denunciano nuove truppe russe al confine con l’Ucraina. Ne abbiamo parlato con il prof. Niglia: «Non è una guerra per le materie prime».

«Russia e Ucraina? C’è ancora spazio per la diplomazia. Ecco cosa si gioca l’Italia». Intervista al prof. Niglia

Torna a salire la tensione a est, al confine tra Russia e Ucraina. Con la Nato che accusa il governo di Mosca di continuare ad ammassare nuove truppe e il presidente Vladimir Putin che al contrario annuncia una de-escalation.

Come riporta il Guardian, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse) avrebbe registrato nelle prime ore di oggi, 17 febbraio, «episodi di bombardamenti multipli lungo la linea di contatto nell’Ucraina orientale». Ma a che punto siamo? Cosa rischia l’Italia e quali sono i possibili scenari a breve termine? Ne abbiamo parlato con Federico Niglia, professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università per Stranieri di Perugia.

Prof. Niglia da cosa nasce il conflitto tra Russia e Ucraina?

Il conflitto nasce nel momento in cui, con la caduta dell’Unione Sovietica, l’Ucraina ha avviato un processo di autonomizzazione e piena indipendenza, marcando le differenze con l’Urss. Questo processo è andato a cozzare con una ripresa del dinamismo geopolitico russo a partire dagli anni 10 del 2000, con il putinismo. La Russia è tornata a guardare a sud, alla Georgia e all’Ucraina. Contestualmente, l’Ucraina ha cercato di staccarsi sempre più, avvicinandosi alla Nato. Un salto di qualità molto forte c’è stato, quando la Russia ha invaso la Crimea. Mosca voleva riguadagnare le sue posizioni.

Come mai proprio adesso assistiamo a questa recrudescenza?

In Ucraina si è accentuata una polarizzazione instabile, c’è una componente che spinge verso la Russia. Creando un gioco abbastanza classico, fin dai tempi dell’Afghanistan. Storicamente è tipico della diplomazia russa scegliere di alzare il livello per vedere cosa succede. Come nel caso della crisi di Berlino nel 1958.

Cosa c’entra la Nato in tutto questo? E perché la Russia ne teme un allargamento?

Nell’ultimo trentennio, la Nato è stata alla ricerca di un ruolo, perché si concepiva come vincitrice della guerra fredda ma al contempo era in crisi di identità. Intanto ex paesi appartenenti alla sfera sovietica hanno aderito all’alleanza atlantica in chiave anti russa: Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Baltici. La Nato va avanti pensando che l’occidente abbia vinto la guerra fredda. La Russia ha un’altra visione, la ritiene solo una battuta d’arresto.

Possiamo credere alla de-escalation annunciata da Putin? Gli Usa denunciano nuove truppe al confine.

Una de-escalation è possibile. C’è un grande spazio per la diplomazia. Oggi le escalation e le de-escalation possono essere molto rapide e vengono utilizzate come strumento politico.

Qual è il ruolo del gas in questa vicenda?

Non mi farei trascinare dall’economia, si tratta di temi politici nazionali. C’è ovviamente un collegamento, ma la guerra delle materie prime non è il fattore scatenante. Come gli occidentali devono comprare il gas, i russi hanno bisogno di vendere.

Cosa rischia l’Italia se dovesse scoppiare il conflitto?

L’Italia è uno tra i paesi occidentali a essere maggiormente interessato a mantenere buoni rapporti con Mosca. In questo caso la nostra politica è simile a quella dei tedeschi. L’Italia concepisce la governance internazionale con la presenza della Russia. Nell’ultimo trentennio il nostro paese ha puntato molto sul rapporto con Mosca, non solo durante il berlusconismo.

Qual è lo scenario possibile?

Se prevale la razionalità, si contano le forze in campo. In questo caso, lo scenario più auspicabile è quello del congelamento. Si spera che la diplomazia possa lavorare a una soluzione che depotenzi la crisi. Resta aperto il discorso sullo stato dell’Ucraina. E quello di una partita più ampia tra occidente e Russia.

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