In settimana la Finlandia voterà per la domanda di adesione alla Nato, una svolta storica dopo 80 anni di neutralità. Rischio guerra totale? Intervista ad Alessandro Marrone, analista dello Iai.
Finlandia a un passo dalla Nato? Giovedì 12 maggio nel paese scandinavo si voterà per la domanda di adesione all’Alleanza atlantica. Una decisione storica, dopo 80 anni di neutralità, scaturita dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla violazione dello spazio aereo finlandese da parte delle truppe del Cremlino.
Intanto prosegue il conflitto sul campo. A due mesi e mezzo dall’inizio della guerra, con oltre 4 mila civili ucraini uccisi, la situazione è di stallo. Vladimir Putin ha conquistato la zona costiera, ma non è riuscito a invadere l’intero paese.
Sul fronte Nato, oggi l’incontro a Washington tra Joe Biden e Mario Draghi. Il presidente del Consiglio italiano si impegna a inviare due nuovi contingenti nei paesi dell’Est Europa, ma si dice contrario a un’escalation del conflitto. Cosa succederà se la Finlandia (e a ruota la Svezia) dovesse entrare nella Nato? C’è il rischio di un inasprimento della guerra? Ne abbiamo parlato con Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).
Il 12 maggio la Finlandia deciderà sulla domanda per l’adesione alla Nato. Se arriverà il sì, cosa succede?
Nel caso vincano i sì, la Finlandia presenterà una domanda di adesione. I trenta paesi Nato la valuteranno - probabilmente positivamente - e l’accetteranno. La decisione dell’Alleanza atlantica potrebbe arrivare nell’arco di poco tempo, anche prima dell’estate. Ma per l’attuazione di tutta la procedura ci vorranno dei mesi. Bisogna inserire rappresentanti della Finlandia nel Consiglio nord atlantico, nello staff dei quartier generali a Bruxelles e in Nord America. Realizzare delle modalità di comunicazione protette tra autorità finlandesi e alleati Nato. Inoltre per favorire l’integrazione, unità della Nato saranno inviate in Finlandia e unità finlandesi nelle sedi Nato. Ma questa prassi esiste da sempre ed è consolidata. L’Alleanza atlantica è nata con dodici membri e oggi ne conta trenta.
Perché la Finlandia e la Svezia vogliono entrare nella Nato?
Si tratta di un cambio storico. Dopo 80 anni di neutralità, dalla Seconda guerra mondiale al post Guerra fredda, i due paesi scandinavi vogliono entrare a far parte di un’alleanza militare che prevede una difesa collettiva. Questo perché sia la classe dirigente che l’opinione pubblica sono rimaste molto colpite dall’invasione dell’Ucraina. Fino al gennaio 2022, in Finlandia solo il 22% della popolazione era favorevole all’adesione alla Nato. In Svezia il 30%. Con l’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio scorso, la situazione è cambiata.
Ville Skinnari, ministro del Commercio finlandese, ha definito il loro esercito uno dei più forti d’Europa.
La Finlandia ha mantenuto la leva obbligatoria, quindi in proporzione alla popolazione limitata ha un esercito numeroso e addestrato. Inoltre gli indicatori di qualità sono quelli scandinavi: alta istruzione, economia e industria all’avanguardia che si riflette sui mezzi utilizzati. La Finlandia ha anche investito negli F35 americani. La Svezia non acquista F35 ma sta sviluppando un nuovo velivolo con Italia e Gran Bretagna.
In attesa del voto sulla Nato, Helsinki ha detto addio al progetto di centrale con la russa Rosatom. Un primo passo?
Le cose non sono direttamente collegate, perché l’essere membro della Nato non impedisce scelte autonome per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici. Come del resto accade per l’Italia. Ma in seguito all’adesione, la Finlandia può temere ritorsioni da parte della Russia. Che potrebbe ad esempio interrompere le forniture o mettere in atto attacchi cibernetici. Da qui la scelta di rinunciare al nucleare russo.
Se la Finlandia dovesse davvero entrare, c’è un rischio escalation in Ucraina?
Con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha sortito un effetto esattamente contrario a ciò che desiderava, ovvero l’allargamento della Nato. Finlandia e Svezia non avrebbero mai pensato di entrare altrimenti. Ma non credo ci sarà un’escalation. I paesi Nato sono stati attenti a non intervenire direttamente in Ucraina, non inviando truppe e mantenendo la guerra nei confini. Seppure supportando Kiev con l’invio di equipaggiamenti militari. Questa strategia non cambierà, per questo non credo che l’adesione di Finlandia e Svezia provocherà un inasprimento del conflitto.
Oggi l’incontro Draghi-Biden. L’Italia si impegna a inviare due nuovi contingenti in Bulgaria e Ungheria ma dice «no» a un’escalation del conflitto. Che strada prenderà l’Alleanza atlantica?
Occorre precisare che i militari italiani saranno dispiegati in altri paesi Nato, quindi non c’è un coinvolgimento diretto nel conflitto Russia-Ucraina. Anche l’invio di equipaggiamento non coinvolge direttamente i militari italiani. La tenace resistenza ucraina ha fermato l’invasione russa e sul campo adesso c’è uno stallo. L’onere dei negoziati resta alle due parti. L’Alleanza atlantica può facilitare i negoziati ed evitare l’allargamento del conflitto, facendo leva sull’articolo 5 (che prevede l’intervento della Nato in caso di aggressione a un paese membro). L’aiuto occidentale continuerà ma senza un coinvolgimento diretto. A Putin, l’Alleanza può far capire che la posta in gioco è la pace in Ucraina e non c’è la volontà di cambiare regime a Mosca. In questo modo il presidente russo sarà invogliato a sedersi a un tavolo negoziale per arrivare a una soluzione diplomatica.
Com’è la situazione adesso sul campo?
Con l’invasione del 24 febbraio, Putin ha conquistato la fascia costiera intorno al Mar d’Azov, comprendendo la zona fino a Mariupol. La Russia dunque occupa la fascia costiera e c’è una contiguità territoriale con la Crimea, occupata nel 2014. Sul resto del territorio non ci sono grandi cambiamenti. Per iniziare le trattative, Zelensky chiede un ritorno alla situazione pre 24 febbraio e il cessate il fuoco. Ma si tratta di un punto di partenza e non di arrivo. Poi da lì si potrà parlare della Crimea, dello status di neutralità dell’Ucraina e dei territori occupati dai russi.
Come valuta il discorso di Putin nella Giornata della Vittoria? C’è ancora rischio di una guerra totale?
Questo rischio è estremamente remoto. Anche nel momento di massimo climax della propaganda russa (la Giornata della Vittoria, ndr), da parte di Putin non c’è stata una chiamata alle armi, una dichiarazione di guerra nei confronti dell’Ucraina o l’annuncio di un’escalation del conflitto. Perché in questi due mesi e mezzo, la Russia ha perso parte significativa dei propri soldati e mezzi. E non è in grado di mobilitare forze soverchianti rispetto a quelle ucraine. Supportate queste ultime dall’Occidente. I rapporti di forza non permettono dunque un’escalation che non sia nucleare. Ma anche l’uso della bomba atomica è un’eventualità remota perché andrebbe contro gli interessi di Putin stesso.
Quale il possibile scenario, quando finirà la guerra?
Molto dipende dalla capacità delle forze ucraine di tenere questa linea del fronte e dal logoramento delle forze russe. Ci sono due possibili scenari. Un conflitto a lungo termine ma con basso livello di intensità, circoscritto alla linea del fronte nella zona del Donbass, con attacchi aerei sporadici nel resto del paese.
L’altro scenario è che di fronte allo stallo militare e visto il peso economico delle sanzioni, Putin capisce che è più conveniente iniziare una trattativa che porti al riconoscimento di questa linea di confine. Che possa permettergli di dire sul fronte interno di aver portato a casa conquiste territoriali e una Russia più sicura.
Sanzioni e invio di equipaggiamenti militari, è efficace la strategia occidentale?
Le sanzioni possono portare nel medio periodo Putin a sedersi al tavolo delle trattative se nel frattempo il sostegno militare ne rende impossibile la vittoria sul campo. Putin può sopportare il peso delle sanzioni solo se pensa di poter vincere. La strategia della Nato era l’unica possibile. La protezione dei territori dell’Alleanza viene prima del resto. Ma anche per difendere la sicurezza di tutto il continente europeo non si poteva non difendere uno stato aggredito. Si tratta della strategia più realistica, per l’efficacia è presto per dirlo. Ma intanto due risultati li ha portati: evitare una guerra Russia-Nato e aiutare gli ucraini a difendere Kiev. Il supporto atlantico ha aiutato a salvare la capitale e buona parte dell’Ucraina. Scongiurando l’orrore delle fosse comuni scoperte nelle zone occupate.
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