Secondo Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, i salari in Italia non sono bassi ovunque e fa l’esempio dell’industria, dove sostiene che il livello degli stipendi non sia inadeguato.
“Si racconta che i salari sono bassi ovunque, non è così”. A dirlo è il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ad Agorà su Rai3. L’idea è chiara: la narrazione dominante sugli stipendi al palo in Italia sarebbe sbagliata, o meglio: non sarebbe del tutto corretta.
Il numero uno della prima associazione del mondo imprenditoriale non nega che in molti settori i salari debbano crescere, perché inferiori alla media europea e non al passo con l’inflazione, ma contesta la visione generale tout court.
In particolare Bonomi parla dell’industria e considera questo un settore in cui le retribuzioni “non sono basse”. Il presidente di Confindustria sottolinea che tra il 2000 e il 2021, fatto 100 quelli che erano i salari nel 2000, siamo arrivati a 120. Secondo lui la produttività ha avuto la stessa dinamica, quindi i salari sono cresciuti in linea proprio con la produttività.
Confindustria: salari bassi per colpa della scarsa produttività
Per Bonomi, quindi, dietro ai bassi salari italiani ci sarebbe proprio la bassa capacità di produrre. Guardando gli altri Paesi europei e l’economia in generale, spiega, “i salari sono cresciuti del 15% negli altri Paesi e solo del 7% in Italia, la produttività del 20% e solo del 4% in Italia. Il problema si concentra in alcuni settori specifici, nella Pa e nei servizi”.
Nel settore dell’industria lo stipendio medio in Italia è di 32.500 euro all’anno o 16.67 euro all’ora. I lavoratori con più esperienza guadagnano fino a 45mila euro all’anno.
Il presidente di Confindustria si esprime poi sulla proposta di salario minimo a 9 euro lordi l’ora, rimarcando che “tutti i contratti nazionali dell’industria sono superiori a questa cifra, le paghe più basse sono nel commercio, nei servizi e nelle cooperative”.
Stipendi, il calo del salario reale in Italia nel 2022
Queste parole di Bonomi arrivano a sole due settimane dalla diffusione dei dati Istat che registrano un calo delle retribuzioni reali in Italia del 7,6% nel 2022.
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Lo scorso anno si è infatti chiuso con un aumento medio del valore nominale della busta paga dell’1,1%, mentre l’aumento dei prezzi è stato in media dell’8,7%. Va un po’ meglio nel settore pubblico, dove gli stipendi sono saliti del 2,8%.
Un calo del genere arriva dopo un trentennio nero per i salari del nostro Paese: dal 1990 al 2020 siamo l’unico Paese dell’Area Ocse in cui il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9%), a fronte di crescite di oltre il 30% in Francia e Germania. In particolare, poi, restano oggi al palo le retribuzioni del commercio, alberghi e ristoranti.
La ricetta di Bonomi per aumentare la busta paga in Italia
Anche per questo la Commissione europea ha spiegato che in Italia, come in altri Paesi, è necessario aumentare i salari per fronteggiare i rincari energetici e il caro vita. Tuttavia il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, e il vicepresidente dell’esecutivo comunitario, Valdis Dombrovskis, hanno sottolineato un timore diffuso, cioè che l’inflazione possa tornare a crescere in seguito all’aumento dei salari reali.
Secondo Confindustria la via maestra è uno shock fiscale a favore delle aziende, passando dagli attuali 5 a 16 miliardi di euro sul taglio del cuneo fiscale, di cui un terzo dovrebbe andare a totale ed esclusivo vantaggio delle imprese. Questo permetterebbe, secondo Bonomi, di far salire di molto i salari reali, mentre si abbatte il costo del lavoro per le aziende.
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“Siamo un Paese - ha aggiunto - in cui si pagano più tasse sul lavoro che sulle rendite finanziarie”. Quindi ha rimarcato il peso del cuneo fiscale e “l’effetto del forfait per alcuni contribuenti che pagano meno dei dipendenti”.
Da qui la richiesta di una riforma organica del fisco, tagliando il costo del lavoro, e di un intervento di stimolo per gli investimenti industriali, che “non è arrivato in legge di Bilancio”. Al momento, però, il governo Meloni ritiene il complesso di questi interventi troppo onerosi per le casse dello Stato.
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