Mark Burgess, Vice CIO Globale e CIO EMEA di Columbia Threadneedle Investments afferma che le banche inglesi e americane godono di buona salute, mentre quelle di Italia e Germania andrebbero in seria difficoltà in caso di una flessione dell’economia
Un tema che dalla crisi del 2008 è stato in primo piano è quello delle banche. La recessione ha messo in luce come il sistema bancario mondiale non fosse così solido come si credeva. Dopo più di 10 anni, il comparto bancario di alcuni delle principali economie del mondo si è completamente ripreso dalla recessione. In altri Paesi però, i crediti deteriorati pesano sui bilanci degli istituti di credito, ostacolando la crescita degli stessi Stati.
Le risposte dei vari Paesi alla crisi
Negli Usa, la reazione alla crisi fu piuttosto veloce, venne infatti istituito il Troubled Asset Relief Programme. Con questo programma, il Tesoro statunitense iniziò ad acquistare i titoli tossici per un importo di 700 miliardi di dollari in cambio di azioni privilegiate e dell’impegno da parte delle banche di restituire quanto ricevuto.
In questo modo, “l’intero settore bancario fu costretto ad accettare iniezioni di capitale dalla Federal Reserve”. La fiducia da parte del mercato fu quindi ristabilita e gli istituti di credito riuscirono ad “assorbire rapidamente le ingenti svalutazioni nei rispettivi portafogli di mutui subprime e le perdite registrate dai portafogli prestiti sulla scia del deterioramento dell’economia statunitense”.
Specularmente, in Inghilterra il Governo agì con iniezioni di capitale alle banche in difficoltà, mettendo a punto un piano di protezione dei titoli tossici garantito dallo stesso Stato. Dal canto suo, la Bank of England elargì liquidità illimitate per risolvere il problema causato dalle paure sulla solvibilità del sistema.
L’Irlanda mise invece a dura prova il suo bilancio, garantendo i debiti delle banche. Verso la fine del 2009 poi, il Governo creò la National Asset Management Agency, iniettando liquidità alle banche solide e acquistando titoli tossici al loro valore di mercato.
Il resto dell’Europa reagì in maniera piuttosto lenta, con molti istituti di credito che paralizzarono i prestiti a causa dell’ingente quantità di npl. In Spagna venne istituita la Sareb, bad bank atta a ricevere “oltre 50 miliardi di euro di attivi immobiliari tossici che gravavano sui suoi prestatori commerciali”. Il comparto bancario spagnolo riuscì quindi a riprendersi, iniziando di fatto un processo di crescita del Paese.
L’Italia invece ha proposto soluzioni specifiche solo per alcuni istituti, senza effettuare interventi di ricapitalizzazione in maniera approfondita. In Germania i problemi principali derivarono dalle banche locali all’ingrosso controllate da enti locali, che avevano investito un’ingente quantità di denaro sugli attivi immobiliari americani. All’emergere dei problemi, diversi di questi istituti fallirono, richiedendo l’aiuto dello Stato per ricapitalizzarsi.
Il sistema bancario a un decennio dalla crisi
Mark Burgess, Vice CIO Globale e CIO EMEA di Columbia Threadneedle Investments sostiene che dopo dieci anni, “lo stato di salute delle banche di questi paesi riflette ampiamente i diversi approcci adottati dai Governi per la ricapitalizzazione dopo la crisi finanziaria globali”. In particolare, le banche statunitensi sono tornate estremamente solide, mentre quelle inglesi dovrebbero riuscire a far fronte alla Brexit. Anche gli istituti spagnoli sembrano in buona salute mentre il comparto bancario tedesco deve ancora riprendersi completamente. Anche il settore degli istituti di credito italiano non ha affrontato in modo approfondito il problema dei titoli tossici in bilancio. Per l’esperto, questi ultimi due Paesi “non sono in grado di sostenere la crescita”.
Con un ciclo economico giunto ormai a maturazione, “le banche statunitensi e quelle inglesi appaiono molto più al sicuro e in grado di fronteggiare eventuali rallentamenti grazie ai massimi livelli di capitale e liquidità nonché al quadro normativo più solido degli ultimi decenni”.
Per Burgess il sistema bancario statunitense e quello inglese saranno in grado di fronteggiare una recessione. L’esperto ritiene inoltre investibili le banche spagnole mentre non si può dire lo stesso per Italia e Germania.
Per il nostro Paese, un’eventuale crisi significherebbe una necessità di ricapitalizzazione del comparto, che il Governo faticherebbe a realizzare. “Il fardello potrebbe dover essere trasferito all’Unione europea. Il rischio principale è quello che la debolezza dell’apparato bancario italiano inneschi una crisi del debito sovrano” sostiene il Vice CIO Globale e CIO EMEA di Columbia Threadneedle Investments. “Una crisi bancaria italiana rappresenta uno dei rischi di evento principali che ravvisiamo, unitamente a una Brexit caotica” chiosa Mark Burgess.
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