L’immigrazione è un problema sempre più critico ed attuale, con sbarchi in continuo aumento e rimpalli di responsabilità. Ma si possono chiudere i porti?
Continua a crescere il numero degli sbarchi a Lampedusa, incrementando ulteriormente il numero di migranti sulle coste italiane e sovraccaricando il sistema di accoglienza. Servono “misure straordinarie” ha annunciato la premier Giorgia Meloni, che proprio in questi giorni dovrebbe recarsi a Lampedusa con Ursula Von der Leyen, affinché l’Italia possa trovare una strategia comune con l’Ue (o almeno provarci).
Nel frattempo, si torna a discutere della fantomatica chiusura dei porti, citata più volte anche dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in merito alla “crisi dei migranti”. Sbarrare gli ingressi al Paese non risolverebbe, in realtà, il problema alla radice dei flussi migratori.
Nemmeno le accoglienze, peraltro, sono una strategia risolutiva sul lungo termine e pongono di fatto i singoli Stati in posizioni difficili da sostenere, ma offrono l’assistenza e il primo soccorso. Lo scontro politico-economico e i diritti umanitari fanno spesso fatica a coesistere riguardo alle migrazioni, trasformando le trattative in un tiro alla fune pericoloso.
La mancanza di una rete funzionale nell’ambito europeo porta i governi a pretendere la collaborazione. La minaccia della chiusura dei porti è spesso l’unico strumento a disposizione degli Stati su cui far leva, a discapito dell’aspetto umano. Ma anche non prendendo in considerazione i sentimenti, è chiaro che negare l’aiuto ai migranti rappresenta un problema anche dal punto di vista legale, proprio per la lesione dei diritti umani. Ma quindi si possono chiudere i porti?
Si possono chiudere i porti? Il ruolo dell’Unione europea e il diritto internazionale
Per i motivi già citati e ben conosciuti da tutti, l’accoglienza dei migranti rappresenta un tema spinoso ed è innegabile che l’intervento dei singoli Stati sia inadeguato e insostenibile, soprattutto se la questione viene affrontata in modo disomogeneo. Di fatto, è venuto a mancare il supporto dell’Unione europea, che l’Italia ora chiede a gran voce per ottenere aiuto e, soprattutto, la distribuzione dei flussi migratori con gli altri Stati comunitari. Chiudere i porti può apparire una strategia su cui far leva, ma non può tradursi nella negazione dei diritti umani di base.
Trasferire la competenza a un altro Stato o all’Unione europea non è un esonero sufficiente, ma è anzi equiparabile alla giustificazione di un’omissione di soccorso stradale con “non ho causato io l’incidente” o “non sono un operatore sanitario”. Questo principio non deriva dalla morale, ma proprio dalla legge. Sia il diritto internazionale che quello italiano impediscono di chiudere i porti, almeno nel senso inteso comunemente.
Il diritto internazionale impone infatti di tutelare le vite umane in mare, prestare assistenza a chi la necessita, fornendo il primo soccorso e un luogo di riparo. Quest’obbligo vale per tutti gli Stati dell’Unione europea in modo indistinto, tanto che il rifiuto di uno di loro deve essere giudicato e sanzionato ma non rappresenta una scappatoia per gli altri.
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Un caso emblematico è quello della nave Aquarius, che la Spagna ha accolto – pur con scontento – dopo il diniego dello Stato italiano. Gli articoli 1113 e 1158 del Codice della navigazione, poi, prevedono un reato per il mancato soccorso dei naufraghi. Secondo la Convenzione di Amburgo tutti gli Stati costieri aderenti hanno una zona di competenza in cui è obbligatorio il servizio di ricerca e salvataggio.
Questi principi, come si evince, non impediscono però di chiudere i porti. Di fatto, il governo italiano può decidere di mettere un freno agli ingressi via mare, ma non può disattendere gli obblighi di assistenza umanitaria. Questo significa che non può essere impedito a priori l’accesso via mare dei migranti, ma che devono essere valutate le condizioni delle persone e fornita loro l’assistenza necessaria. Non a caso, soltanto la crisi sanitaria portata dal Covid ha - parzialmente - giustificato la chiusura temporanea ai migranti, mancando le condizioni di assistenza.
Ecco perché chiudere i porti risulta una soluzione impraticabile, dato che di fatto la maggior parte dei migranti approda in condizioni di salute critiche e necessità di cure, medicinali, cibo e in genere primo soccorso. Di conseguenza, non si possono chiudere i porti e rifiutare l’ingresso alle persone in pericolo; perciò, essendo la selezione quasi impraticabile, oltre che comunque a sfavore, è necessario che gli Stati cooperino.
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