South working: il lavoro smart dal Sud. Ecco cos’è e perché se ne parla tanto

Teresa Maddonni

04/09/2020

South working: lavoro smart dal Sud ma per un’azienda del Nord, un modo per far sì che giovani lavoratori restino nel Meridione. Vediamo cos’è e perché se ne parla tanto.

South working: il lavoro smart dal Sud. Ecco cos’è e perché se ne parla tanto

Il south working è una nuova forma di lavoro smart che sta prendendo piede in Italia. Declinazione nostrana dello smart working cui siamo stati abituati in questi mesi di pandemia, capire cos’è lo smart working è assai semplice perché è la parola stessa south a definirlo.

Significa inversione di rotta, lavorare da remoto al Nord, ma restando fisicamente al Sud del nostro Paese.

Negli ultimi tempi si parla molto di south working e non solo perché studenti, neolaureati e lavoratori a causa dell’emergenza COVID-19 sono tornati nei loro paesi e città di origine al Sud d’Italia lavorando da remoto o in attesa di una propria collocazione nel mondo, ma perché intorno a questa idea sono nate proposte e si iniziano a creare progetti per renderla concreta e durevole nel tempo.

South working: cos’è il lavoro smart dal Sud

Capire cos’è il south working, inteso come lavoro smart dal Sud, è di facile intuizione.

Si tratta dello smart working al Nord restando tuttavia al Sud il che permetterebbe di evitare una nuova ondata migratoria al Settentrione dopo l’inversione di tendenza cui abbiamo assistito in periodo di emergenza Covid; risolvere in parte lo spopolamento che molte città e paesi hanno vissuto negli anni addietro.

Certo il south working non permette di risolvere il problema del lavoro al Sud in senso stretto, ma farebbe rifiorire con la presenza dei giovani alcune realtà. Il primo progetto di south working è stato quello della Global Shapers Palermo Hub, una community di ragazzi under 30.

Un progetto di south working che collega Palermo e Milano e che può essere sfruttato da qualsiasi azienda che attraverso lo smart working voglia ampliare la propria attività limitando anche costi derivanti dal lavoro in presenza.

Ovviamente puntare sul south working significa per lo Stato investimenti al fine di creare un’infrastruttura digitale adeguata. Un discorso questo che vale non solo per il south working, ma per lo smart working in generale, la didattica a distanza e tutte quelle realtà per le quali ormai una connessione veloce è fondamentale.

South working: obiettivi principali

Abbiamo anticipato quali sono gli obiettivi principali del south working: permettere al Sud di ripopolare città e borghi e far sì che quei giovani che non riescono ad avere un lavoro nel Mezzogiorno, e che non possano sostenere il peso di un trasferimento al Nord, possano comunque trovare occasioni di occupazione in altre parti d’Italia senza spostamento alcuno.

Ovviamente l’altra faccia della medaglia è che se un progetto di south working così ambizioso dovesse prendere piede il Nord rischierebbe di perdere buona parte delle entrate che i fuori sede portano. Una crisi che riguarderebbe le attività che ruotano intorno agli uffici o il mercato immobiliare per esempio.

Solo tra il 2002 e il 2017 secondo i dati Swimez, l’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, sono stati 2 milioni gli italiani che dal Sud si sono trasferiti al Nord del Paese.

Il primo passo per iniziare il south working per chi già lavora è capire se le proprie mansioni lo consentono nel lungo periodo e se la propria azienda del Nord è disponibile a una distribuzione delle proprie risorse umane al Sud.

Per chi cerca lavoro è importante orientarsi su aziende che possano favorire esperienze di lavoro da remoto sfruttando la fase storica che stiamo vivendo. Progetti come quello che lega Palermo a Milano potrebbero presto nascere altrove connettendo altre realtà del Paese e favorire così il south working.

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# Lavoro

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