Superbonus, dal 2023 sarà al 90% ma i redditi bassi continueranno a essere esclusi dall’agevolazione se non ci saranno modiche alla cessione del credito o allo sconto in fattura: ecco perché.
Sono tante le novità previste per il superbonus. Il primo passaggio sarà l’abbassamento dell’aliquota di detrazione dal 110 al 90%, previsto già dal dl Aiuti quater. L’obiettivo è quello di favorire i redditi bassi, come hanno specificato sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Il ministro Mef lo ha esplicitato durante la conferenza stampa dell’11 novembre: “La decisione di concentrare in modo selettivo a favore dei redditi medio bassi è una scelta politica: non si è mai visto nella storia una misura che costasse così tanto a beneficio di così pochi, lo ribadisco”. Tuttavia, poi il numero uno dell’Economia ha anche detto che «la cessione del credito è una possibilità, non un diritto».
È una contraddizione, perché senza la possibilità di usare il superbonus tramite le alternative alla detrazione (cioè cessione del credito e sconto in fattura) a rimanere esclusi dall’agevolazione sono proprio i redditi bassi.
Superbonus 90%, senza modifiche ad hoc i redditi bassi continuano a essere esclusi
Il superbonus può essere usato in tre modi: detrazione in quote annuali di pari importo in dichiarazione dei redditi, cessione del credito (in questo momento bloccata) e sconto in fattura, qualora l’impresa che si occupa dei lavori sia d’accordo con il committente.
Tolte le due opzioni che consentono la monetizzazione immediata del beneficio fiscale, cioè cessione e sconto, rimane solo la detrazione. Da tenere in considerazione anche che sono cambiate le regole pure per le detrazioni Irpef, perché all’inizio erano da suddividere in cinque anni, e ora invece i conti sono da fare in quattro quote.
Il contribuente che volesse pagare subito tutti i lavori potrebbe fruire della relativa super detrazione al 110% ora, o al 90% dal 2023, per i quattro anni successivi, ma questo a patto che il reddito imponibile consente di poter fruire delle detrazioni.
Immaginiamo, per esempio, il caso di un contribuente che sostiene una spesa di 40mila totalmente detraibile. La detrazione sarebbe pari quindi a 44mila euro ed andrebbe ripartita in quote costanti di 8.800,00 euro. Se, però, il contribuente deve versare al primo anno un Irpef pari a 6mila euro, vorrebbe dire non fruire di 2.800,00 euro di detrazione. Facendo i conti è evidente che a potersi permettere di scegliere la detrazione invece di una delle due opzioni alternative è chi ha abbastanza capienza Irpef, e quindi un reddito alto.
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Secondo i dati dell’Enea, l’investimento medio per le unità indipendenti è di 97mila euro. A fare i conti è stato il Sole24Ore: passare da una detrazione del 110% a una del 90% significa scendere da 106.700 a 87.300 euro di bonus. Nel primo caso, avanzavano quasi 10mila euro per coprire i costi finanziari; mentre con l’aliquota più bassa, nel caso di una villetta bifamiliare, ciascuno dei due comproprietari deve comunque farsi carico di circa 10mila euro di costo dei lavori, senza contare gli interessi in caso di prestito da una banca.
Un superbonus di 87.300 euro sarebbe da recuperare in quattro rate annuali da 21.825 euro: è chiaro che non tutti i contribuenti possono permettersi di scontare un Irpef del genere.
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