Le stime di Meloni e Giorgetti inserite nel Def appaiono ottimistiche: per uno studio dell’Università Cattolica occorrerà introdurre misure correttive per circa 30 miliardi.
Giorgia Meloni di recente raramente e mal volentieri ha parlato di pensioni e tasse, oppure dei fondi destinati a due settori fondamentali per l’Italia come sanità e istruzione. Eppure questi temi dovrebbero essere il pane quotidiano per la presidente del Consiglio.
In attesa di passare all’incasso elettorale anche in occasione delle elezioni europee di giugno - gli ultimi sondaggi vedrebbero Fratelli d’Italia veleggiare di poco sopra la percentuale ottenuta alle politiche del 2022 -, Giorgia Meloni di recente ha preferito parlare di natalità, del fantomatico Piano Mattei e, per ultimo, della vicenda riguardante Antonio Scurati.
Argomenti non secondari, ci mancherebbe, ma forse sarebbe il caso di iniziare a parlare anche di cosa ci potrebbe accadere dopo le elezioni europee quando, la terribile combo Patto di Stabilità-procedura di infrazione, rischia di abbattersi come una scure sulla spesa pubblica.
Nonostante le smentite da parte del ministro Giancarlo Giorgetti, appare sempre più probabile una manovra correttiva in estate - Dino Pesole sul Sole 24 Ore ha parlato addirittura di fine giugno -, ma la vera mazzata per gli italiani dovrebbe arrivare nel 2025 per mezzo della prossima legge di Bilancio.
In base a quanto scritto nel Def e alle ultime promesse fatte dal governo, per uno studio condotto da parte dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica “se si volesse non solo rifinanziare le misure che si esauriranno a fine 2024, ma anche mantenere il rapporto tra debito e Pil intorno ai valori previsti a fine 2024 (137,8 per cento) occorrerebbe introdurre misure correttive per circa 30 miliardi”.
Facile intuire di conseguenza perché in piena campagna elettorale Giorgia Meloni sembrerebbe preferire parlare d’altro.
Rischio tagli per 30 miliardi: quello che Meloni non dice
Giorgia Meloni di recente spesso ha dribblato come il Garrincha dei bei tempi le domande dei cronisti, rilasciando interviste solo a dei media che potrebbero essere definiti come non ostili all’attuale maggioranza di governo.
Sarebbe interessante però sapere quale sia il parere della premier in merito al recente studio condotto dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, che ha dipinto uno scenario plumbeo per i conti del Paese.
Il quadro tendenziale del Def prevede un aumento del rapporto tra debito pubblico e Pil di circa 2 ½ punti percentuali tra fine 2023 e fine 2026, con solo una piccola riduzione nel 2027. Tuttavia, queste previsioni sono basate su ipotesi relativamente ottimistiche per l’andamento del Pil reale, dell’inflazione e delle entrate da privatizzazioni. Inoltre, si riferiscono al quadro a legislazione vigente, in cui le politiche di sostegno all’economia (per un totale di quasi 20 miliardi, tra cui tagli di contributi sociali e Irpef per 15 miliardi) che si esauriranno a fine 2024 non sono rinnovate. Tuttavia, il governo ha indicato di voler confermare tali misure. Tenendo conto di queste intenzioni, un quadro più veritiero dello stato delle nostre finanze pubbliche a politiche invariate comporterebbe invece un aumento del rapporto tra debito e Pil di circa 5 ½ punti percentuali entro la fine del 2026. Questo sottolinea la necessità di significative misure di aggiustamento che dovranno essere introdotte nella prossima legge di bilancio. Se si volesse non solo rifinanziare le misure che si esauriranno a fine 2024, ma anche mantenere il rapporto tra debito e Pil intorno ai valori previsti a fine 2024 (137,8 per cento) occorrerebbe introdurre misure correttive per circa 30 miliardi.
In sostanza i pochi numeri che sono stati inseriti nel Def appaiono essere decisamente ottimistici, con diversi istituti che hanno ipotizzato per l’Italia una crescita inferiore e un rapporto tra debito e Pil al contrario superiore rispetto alle stime fatte dal governo.
Se uno studio della Confederazione dei sindacati europei ha ipotizzato per l’Italia tagli a sanità e istruzione per un totale di 4,5 miliardi a causa del Patto di Stabilità, per l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica all’orizzonte ci sarebbero invece misure correttive per 30 miliardi.
Questo comporterebbe la necessità di attuare nei prossimi mesi un taglio draconiano alla spesa pubblica o un forte aumento delle tasse, oppure un mix di entrambe le misure. Una prospettiva horror per gli italiani già zavorrati dall’inflazione e dai salari da anni fermi al palo.
In questo scenario, fino a quando non si chiuderanno le urne delle elezioni europee per Giorgia Meloni ogni discussione su fascismo o famiglia sarà un’ottima occasione per parlare d’altro, con la “sorpresa” per gli italiani che poi arriverà in estate.
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