Countdown alla decisione su tassi USA da parte della Fed di Jerome Powell. Tagli o no? Il presidente Trump si è dato già da fare per offendere Powell.
Si conoscerà dopodomani, mercoledì 29 gennaio 2025, l’esito della prima riunione del FOMC, il braccio di politica monetaria della Fed.
Dopo le tre riduzioni dei tassi sui fed funds annunciate nel 2024, la banca centrale americana guidata dal presidente Jerome Powell, continuerà ad allentare la restrizione monetaria ancora in atto negli Stati Uniti?
Fed Day imminente, annuncio tassi dopodomani 29 gennaio, cosa c’è da sapere
Intanto, vale la pena annotarsi alcune informazioni cruciali: la riunione del FOMC prenderà il via ufficialmente domani, martedì 28 gennaio, per proseguire il giorno dopo. L’annuncio sui tassi arriverà dopodomani, alle 20 ora italiana.
Mezz’ora dopo, alle 20.30, inizierà la conferenza stampa che vedrà il banchiere centrale Jerome Powell rispondere alle domande dei giornalisti che, senza alcun ombra di dubbio, cercheranno di capire cosa la seconda amministrazione di Donald Trump significherà e implicherà, secondo la Federal Reserve, per l’economia degli Stati Uniti, dunque per l’inflazione e di conseguenza per i tassi.
Con Trump più inflazione, il messaggio dai mercati e dai dati macro
Il ritornello che si sente ripetere da parecchio a Wall Street, quando si parla della presidenza di Trump, è che le politiche economiche che verranno varate dalla Casa Bianca, basate sui dazi, sulle restrizioni contro l’immigrazione, in sostanza sull’America First, daranno una spinta al PIL USA e, di conseguenza all’inflazione, tale da costringere la Fed di Powell ad allentare il ciclo di tagli dei tassi iniziato a settembre.
Da ricordare che il terzo taglio dei tassi annunciato dopo l’ultimo meeting del 2024 ha scatenato una furia di sell sulle azioni e sui Treasury, portando l’indice Dow Jones ad affondare di 1.100 punti e il Nasdaq a capitolare del 3,5%: un vero e proprio bagno di sangue, che si è scatenato a seguito non tanto dell’annuncio del taglio di 25 punti base, al nuovo range compreso tra il 4,25% e il 4,5%, ma a causa di un dot plot che ha dato ragione alla grande paura che i mercati avevano iniziato già a mettere in conto: la possibilità che dal dot plot della Banca centrale americana emergesse un outlook sui tagli dei tassi previsti per il 2025 di una quantità decisamente inferiore a quanto indicato nelle stime precedentemente formulate dall’istituzione: così è stato, in quanto le riduzioni previste per questo anno 2025 sono state dimezzate da quattro a due.
Due soli tagli nel 2025. I mercati hanno dato ragione quel giorno a chi aveva già avvertito che quel primo taglio maxi dei tassi di interesse che era stato annunciato il 18 settembre del 2024, pari a ben 50 punti base dopotutto avrebbe potuto o dovuto essere evitato.
La Fed aveva tagliato poi i tassi di 25 punti base, insospettita che forse avesse esagerato a procedere con così tanta convinzione con un Jumbo Cut, nella riunione immediatamente successiva alla notizia della vittoria alle elezioni USA di Donald Trump.
Sempre di 25 punti base, dunque di 1/4 di punto percentuale, era stata l’ultima mossa del 2024.
Occhio a dati inflazione USA. L’economia sta più che bene?
Ma ora che Donald Trump, con la cerimonia del 20 gennaio scorso, è entrato nell’Ufficio Ovale, cosa deciderà di fare la Fed dopodomani? Intanto, occhio alle date di tutte le riunioni previste dal FOMC per quest’anno 2025.
Nell’immediato, i mercati sono in ansia ovviamente per l’imminente meeting, ma ci sono economisti che guarano decisamente più in là, e che hanno già sfornato previsioni sul trend dei tassi USA addirittura fino al 2027.
Guardando al meeting imminente, c’è chi parla di scenario di Goldilocks, rimarcando la solidità del contesto macroeconomico degli Stati Uniti. E’ Jero Jung, Chief Economist di Mirabaud Asset Management, secondo cui il processo disinflazionistico comunque è atteso continuare negli Stati Uniti, come “dimostrano anche gli ultimi dati pubblicati”.
“Sia l’indice dei prezzi alla produzione che l’indice dei prezzi al consumo di dicembre sono risultati, infatti, in linea con questo scenario. In particolare, l’IPP headline è stato più debole, mentre l’IPP core è rimasto invariato su base mensile, con i prezzi dei beni e dei servizi core che si sono stabilizzati rispetto al mese precedente. Per quanto riguarda l’IPC - uno dei temi principali di questa settimana – il dato è stato forte, ma ciò è dovuto all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia, il che non è una sorpresa”.
Jung ha messo in evidenza alcuni dettagli, come l’IPC core che si è attestato allo 0,225% su base mensile, con i beni core che sono aumentati dello 0,1% e i servizi core saliti dello 0,3% sul mese mentre, per quanto riguarda “ l’importante componente abitativa , sia l’owner’s equivalent rent (OER) sia i prezzi degli affitti sono aumentati dello 0,31% ciascuno”.
Inoltre, la “cosiddetta misura supercore, che include i prezzi dei servizi core ma esclude i prezzi degli affitti e degli OER, è aumentata dello 0,2% su base mensile”.
L’ex Fed: sui tassi Powell rimarrà fermo e deve rimanere fermo
Dunque? In generale l’economista ha detto di continuare a stimare per il 2025 due tagli dei tassi di 25 pb da parte della Fed. Non oltre, in quanto “guardando agli altri dati macro, sono state pubblicate notizie più positive sull’attività industriale”, che “ha segnato un forte incremento a dicembre, pari a quasi +1%, grazie al contributo di 0,2 punti percentuali della produzione di aeromobili”.
Questo, appunto, in generale, a fronte di una economia americana che sicuramente non ha bisogno di essere assistita o curata in modo urgente.
Più nello specifico, guardando a dopodomani, lo scenario che non piace ai mercati (ovvero di una Fed che non si muove), sembra destinato a concretizzarsi.
La Fed di Jerome Powell, non solo secondo alcuni economisti ma anche secondo i mercati, rimarrà ferma. A prevederlo lo stesso ex presidente della Federal Reserve di St Louis Jim Bullard che, interpellato dall’AFP, ha detto che, a suo avviso, non solo “la Fed non farà niente” ma che “non dovrebbe fare nulla”.
Tassi Fed, la frase assurda di Trump su Powell
Il nodo è come comunicare ai mercati ma alla stessa, o soprattutto all’amministrazione Trump, che la porta per ulteriori tagli dei tassi, a seconda dei dati macro, non sarà chiusa del tutto.
Trump pretende infatti un altro taglio dei tassi, a dispetto dell’effetto inflazionistico che l’attuazione delle sue politiche comunque produrrà. Intervenendo al World Economic Forum che si è tenuto a Davos, Svizzera, la scorsa settimana, Trump è andato anche oltre, chiamando a rapporto praticamente tutte le banche centrali del mondo, che a suo avviso dovrebbero tutte tagliare i tassi:
“Con i prezzi del petrolio che stanno scendendo, pretendo che i tassi di interesse scendano immediatamente, e così dovrebbe essere in tutto il mondo”. Non solo.
Trump ha poi affermato di ritenere di “conoscere i tassi di interesse molto meglio di quanto li conosca la Federal Reserve, così come di saperne molto di più sicuramente di quello che ha il potere di prendere questa decisione”. Praticamente di Jerome Powell.
Ma a chi crede il mercato: a Trump o a Powell?
Eppure il mercato sembra credere più a Powell e ai suoi timori che l’inflazione degli Stati Uniti rischi di salire troppo che non a quel calo dei prezzi del petrolio che, secondo Trump, basterebbe ad avallare un’altra sforbiciata dei tassi.
Dal CME Group sono arrivate indicazioni su una probabilità superiore al 99% con cui i mercati finanziari prevedono un nulla di fatto da parte della Banca centrale USA al termine della prima riunione del FOMC del 2025 di dopodomani, 29 gennaio, il giorno prima del verdetto che sarà poi emesso dalla BCE di Christine Lagarde.
“Sarà un inizio noioso per un anno tumultuoso per la Fed”, ha scritto il capo economista USA di JPMorgan, Michael Feroli.
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