Terza guerra mondiale con Trump e Harris, con chi si rischia di più

Maria Paola Pizzonia

4 Novembre 2024 - 21:54

Escalation o diplomazia: chi tra Trump e Harris potrebbe davvero portarci sull’orlo del conflitto globale?

Terza guerra mondiale con Trump e Harris, con chi si rischia di più

La possibilità di un conflitto su scala mondiale è un tema di forte attualità che divide l’opinione pubblica e preoccupa gli analisti. Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 2024 vedono contrapporsi due candidati dalle visioni profondamente diverse: Donald Trump, ex presidente e volto della destra americana, e Kamala Harris, rappresentante dei Democratici e sostenitrice di una politica di continuità con l’amministrazione Biden. In questo articolo, analizziamo i rischi e le strategie geopolitiche che potrebbero emergere a seguito di una loro eventuale vittoria, considerando il possibile impatto a livello globale.

Donald Trump e la “pace attraverso la forza”

Trump si colloca nella tradizione repubblicana di un certo isolazionismo, reinterpretando la dottrina Monroe in chiave moderna. La dottrina Monroe, enunciata dal presidente James Monroe nel 1823, affermava che qualsiasi intervento europeo nelle Americhe sarebbe stato considerato un atto ostile verso gli Stati Uniti, consolidando la supremazia statunitense nel continente e sancendo una politica di non intervento nei conflitti europei. Trump si rifà a questa visione modernizzandola, privilegiando la difesa degli interessi americani senza interventi diretti in guerre straniere, pur mantenendo un coinvolgimento strategico in Medio Oriente e un forte sostegno a Israele. Questa postura è però ambigua: evita interventi diretti, ma l’appoggio a Israele e la retorica aggressiva rischiano di alimentare tensioni regionali, esponendo indirettamente gli Stati Uniti a un’escalation.

Trump propone anche ingenti investimenti navali per ridurre la dipendenza dalle basi terrestri e garantire una maggiore mobilità nel Pacifico, elemento chiave nella sua strategia di “pace attraverso la forza”. Sebbene questa strategia miri a scoraggiare attacchi diretti, comporta rischi significativi di escalation in aree sensibili come il Mar Cinese Meridionale, dove le tensioni con la Cina potrebbero intensificarsi. Trump ha però spesso dichiarato che il vero nemico degli Stati Uniti è interno, riferendosi agli avversari politici, più pericolosi, a suo dire, delle potenze esterne come Cina e Russia. Questa retorica potrebbe distogliere l’attenzione dalle minacce esterne, accrescendo potenzialmente la vulnerabilità del paese su scala globale.

Kamala Harris e il suo “interventismo democratico”

Kamala Harris, nel solco della tradizione democratica, propugna un approccio interventista a favore della democrazia su scala globale. Considerando l’Iran una delle principali minacce per la sicurezza americana, Harris si è detta pronta a utilizzare ogni risorsa diplomatica e militare per prevenire il suo sviluppo nucleare. Tuttavia, la sua posizione è meno chiara in merito a una possibile invasione cinese di Taiwan: Harris ha dichiarato il supporto alla difesa dell’isola, ma senza dettagli specifici su un eventuale intervento militare.

Anche in Medio Oriente, Harris è ambivalente: adotta una linea filo-israeliana con un impegno continuo per la fornitura di armi, pur sostenendo iniziative umanitarie per i palestinesi. Questa ambiguità potrebbe mantenere una posizione bilanciata, ma allo stesso tempo rischia di prolungare conflitti regionali senza poi avere delle soluzioni definitive.

Genocidio a Gaza: posizioni di Trump e Harris

Le posizioni di Donald Trump e Kamala Harris sul conflitto a Gaza riflettono le loro rispettive visioni di politica estera, influenzando le probabilità di un’escalation globale. Trump si rifà alla sua posizione più isolazionista e filo-israeliana, in linea con una parte del Partito Repubblicano che sostiene Israele come partner strategico. Sebbene Trump dichiari di voler limitare il coinvolgimento militare diretto, il suo sostegno a Israele e la retorica dura potrebbero intensificare le ostilità con paesi come l’Iran, alleato di Hamas, polarizzando ulteriormente il Medio Oriente e potenzialmente coinvolgendo altre potenze come la Russia.

Harris, seguendo la linea democratica, adotta una posizione più sensibile alle questioni umanitarie, pur mantenendo allo stesso identico modo un forte sostegno a Israele. Cerca però di bilanciare il supporto militare con dichiarazioni di preoccupazione (forse anche un po’ superficiali) per i civili palestinesi, promuovendo possibili negoziati e interventi umanitari. Forse, se le violenze aumentassero e l’Iran intensificasse il proprio ruolo nel conflitto, Harris potrebbe trovarsi a sostenere sanzioni o ad appoggiare interventi che polarizzerebbero ulteriormente le alleanze globali, trasformando la crisi in uno scontro tra blocchi internazionali opposti.

Influenze teoriche sulla politica estera

Donald Trump si ispira a un nazionalismo economico e a un realismo politico che enfatizzano l’interesse nazionale e la sovranità statunitense. La sua politica estera è influenzata dalla “Dottrina Jacksoniana”, che privilegia un approccio unilaterale e scettico verso le alleanze internazionali, con la forza militare come deterrente principale. Questo si traduce in una preferenza per accordi bilaterali e una riluttanza a impegnarsi in interventi prolungati.

Kamala Harris, al contrario, si allinea al liberalismo internazionale, promuovendo la cooperazione multilaterale e il sostegno alle istituzioni globali. La sua visione si avvicina alla “Dottrina Wilsoniana”, che sostiene la diffusione della democrazia e dei diritti umani attraverso l’impegno attivo nelle alleanze, come la NATO, e nelle organizzazioni internazionali. Questo approccio rende più probabile il sostegno a interventi umanitari e collaborazioni globali per affrontare sfide comuni.

Ucraina e Cina: le differenze

Sia Harris che Trump esprimono sostegno all’Ucraina, ma con strategie divergenti. Harris intende continuare a finanziare e armare Kiev “finché sarà necessario”, mentre Trump afferma di poter risolvere il conflitto in tempi brevi, criticando l’approccio attuale e proponendo prestiti anziché aiuti a fondo perduto. Entrambi chiedono all’Europa di sostenere maggiormente la propria difesa, rispecchiando l’interesse americano a riorientare le priorità strategiche verso l’Asia. Tuttavia, una diminuzione dell’impegno americano potrebbe spingere l’Europa a un riarmo forzato, rischiando di destabilizzare il continente.

La Cina è un’altra delle principali aree di divergenza tra i candidati, con strategie che potrebbero influenzare drasticamente la politica estera USA. Trump propone un contenimento economico, con dazi fino al 60% sulle importazioni cinesi, considerando l’economia il miglior strumento per frenare l’espansione di Pechino senza ricorrere al conflitto armato. Tuttavia, il rischio di ritorsioni e tensioni commerciali a lungo termine è elevato. Harris, invece, punta su un mix di confronto e dialogo, sostenendo la difesa di Taiwan e rafforzando le alleanze regionali senza chiudere il dialogo con Pechino.

L’eventualità di un intervento diretto in caso di invasione di Taiwan resta ambigua, con Trump orientato verso sanzioni economiche e Harris verso un possibile coinvolgimento multilaterale. In sintesi, mentre Trump predilige il contenimento economico, Harris adotta una diplomazia preventiva, ma entrambe le posizioni rischiano di aumentare le tensioni nel Pacifico, con possibili escalation.

Conclusione: esistono rischi di una crisi globale?

In definitiva, l’approccio interventista di Kamala Harris, basato sul multilaterismo, potrebbe spingere gli Stati Uniti a impegnarsi nelle principali aree di tensione globale. Questo approccio rischia di esacerbare le tensioni con rivali come Cina e Iran, aumentando le probabilità di conflitti prolungati e scontri diretti.
L’approccio isolazionista di Trump, focalizzato sul disimpegno strategico, potrebbe invece creare un vuoto di potere in alcune regioni, favorendo l’espansione di rivali come Russia, Cina e Iran. Questo potrebbe portare a un’escalation indiretta, con gli Stati Uniti costretti a intervenire in crisi già avanzate.

Entrambi gli approcci comportano un potenziale di innesco per una crisi globale: Harris con un coinvolgimento diretto e multilaterale, Trump attraverso un disimpegno che lascia spazio a molteplici escalation indirette. Tuttavia, dovendo scegliere, il rischio maggiore potrebbe derivare dall’approccio di Harris, che, pur rafforzando le alleanze, rischia di portare a scontri diretti con le potenze rivali, innescando una crisi di vasta portata.

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