Chi favorisce l’innalzamento del tetto al contante? Ha senso portare il limite a 10mila euro? Money.it lo ha chiesto a Felice Roberto Pizzuti, professore di Economia politica alla Sapienza.
Il tetto per gli acquisti in contanti è destinato a crescere. Il governo Meloni e la maggioranza di centrodestra hanno intenzione di innalzare la soglia a 10mila euro, con una netta inversione di marcia rispetto a quanto previsto dalla strategia sul tema negli ultimi anni.
Nel 2023 il tetto al contante sarebbe dovuto scendere da 2mila a mille euro, ma non andrà così. La Lega ha già presentato un progetto di legge per innalzare il tetto a 10mila euro e anche Fratelli d’Italia si è detta d’accordo. D’altronde le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sono state chiare: il limite dovrà essere alzato.
Ma qual è la motivazione di questa decisione? Ha davvero senso innalzare il tetto al contante o si rischia di fare un favore all’evasione fiscale e ai pagamenti in nero? Money.it ne ha parlato con Felice Roberto Pizzuti, professore di Economia politica e welfare state all’università Sapienza di Roma.
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A cosa serve il tetto al contante
L’idea di inserire un vincolo per gli acquisti con i contanti serve a “controllare movimenti monetari di una certa entità che potrebbero dar luogo a transazioni illegali e che verrebbero sottratte al controllo di una normale dichiarazione corretta al fisco”, spiega Pizzuti. Inoltre la tendenza degli ultimi tempi vede un sempre maggior ricorso al Pos anche per transazioni basse, sotto i 5 euro, il che comporta che “tutte le attività commerciali non possono più eludere a fini fiscali”.
Abbassare il tetto del contante può avere come conseguenza anche quello che Pizzuti definisce un meccanismo a catena: “Le attività non possono ignorare queste entrate e a catena nemmeno rifornirsi da venditori che non rilasciano fattura, magari perché questo deriva dalla provenienza incerte delle merci che vengono vendute. Una catena che obbliga alla trasparenza”. Inoltre “con il Pos non è nemmeno possibile pagare mazzette”. Tutti discorsi che non avrebbe senso fare se fossimo “in un mondo ideale in cui tutti sono onesti e non ci sarebbe nemmeno bisogno di chiudere a chiave le case”.
Perché alzare il limite al contante?
La volontà del governo Meloni di alzare il limite al contante risponde a un’ottica che “sfugge” al professore della Sapienza: “Capisco che dei vincoli, se limitano le attività commerciali, l’occupazione e la produzione di reddito possano essere limitanti. Ma su questo vincolo si può discutere solo di quale possa essere l’entità: per esempio si va dai 500 euro della Grecia a Germania e Austria che non hanno limiti”.
Pizzuti ricorda che anche la Bce consiglia un vincolo e si dovrebbe discutere su quale sia più adatto, seppure il professore faccia riferimento a cifre molto più basse come mille o duemila euro. Ma bisogna anche sottolineare che ormai la realtà è diversa: “La maggioranza delle persone si sta abituando a pagare con carta anche cifre modeste, è una questione di abitudine a cui noi, tra l’altro, arriviamo con molto ritardo rispetto ad altri paesi, anche quelli in cui non ci sono limiti”. E poi, sottolinea, usare meno i contanti è anche una “questione di sicurezza” personale: girare con meno soldi comporta un rischio minore per l’individuo.
Il legame tra tetto al contante ed evasione fiscale
Il professore della Sapienza spiega che è molto difficile valutare la correlazione tra il limite all’uso del contante e l’evasione fiscale, dipendendo quest’ultima da tante variabili. Come dimostra il fatto che in Germania, dove non c’è alcun vincolo, l’evasione fiscale è più bassa che in Italia che il limite lo ha da qualche anno. Però - spiega - “un conto sono le correlazioni, un altro i nessi casuali: purtroppo è difficile misurare un nesso causale tra il vincolo e l’evasione perché quest’ultima ha tante altre motivazioni”.
Al di là delle correlazioni dimostrabili, comunque, c’è il “buon senso: è evidente che se anche in un bar tutto è pagato con carte è difficile non fare lo scontrino, pratica che serve a evadere”.
Perché il governo Meloni vuole alzare il limite al contante
Nella sua replica al Senato, Giorgia Meloni ha detto che non c’è una correlazione tra tetto al contante ed evasione fiscale, citando l’esempio di paesi in cui la soglia non c’è e l’evasione è più bassa che in Italia. Pizzuti non si vuole sbilanciare su un giudizio politico, ma spiega che “in generale c’è una corrente di pensiero, di comportamenti e abitudini, che vede nei condoni, nella pace fiscale, nell’insofferenza al fisco e alle tasse, un modo di caratterizzare i rapporti economici, sociali e civili in un paese, così come c’è anche chi sostiene che le tasse siano il normale prezzo che la collettività paga” in cambio di servizi.
Ha senso alzare il limite agli acquisti in contanti?
Secondo il professor Pizzuti “tecnicamente è molto più ragionevole” che il vincolo all’uso del contante ci sia. Si può valutare quale sia il limite giusto, “ma che lo si aumenti in questo modo viene il cattivo sospetto che si voglia grattare la pancia di chi ha qualche problema nei confronti del controllo dei movimenti di denaro e delle sue attività”.
L’idea di aumentare il tetto al contante come uno dei primi provvedimenti “fa pensare che sia più un segnale politico, culturale ed elettorale che non rispondente alle esigenze economiche”. Difficile invece capire, secondo il professore, perché Meloni sostenga che innalzare il limite del contante possa aiutare i più poveri.
L’unica ipotesi che fa Pizzuti è che ricorrere solamente ai pagamenti con strumenti elettrici ha dei costi e questo può quindi creare un problema. Ma, ricorda, ormai “ci siamo abituati a pagare anche spese minime con la carta, quindi c’è già una ricarica del maggior costo”, La discussione, quindi, al massimo andrebbe spostata sulle commissioni sul Pos e sul pagamento per gestire conti correnti e carte di credito. Ma difficilmente si può pensare di favorire chi è più povero permettendogli di pagare acquisti sopra i 2mila euro in contanti.
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