La storia finirà davvero, come aveva previsto Fukuyama, ma solo per l’Occidente arroccato nelle sue certezze mentre il resto del mondo volge lo sguardo altrove.
Come ha recentemente sottolineato il professor John J. Mearsheimer in un articolo pubblicato su Le Monde Diplomatique, quando l’Unione Sovietica è crollata, nel 1991, il mondo bipolare che aveva contraddistinto la Guerra fredda lasciò il posto a un sistema unipolare incentrato sugli Stati Uniti. L’unipolarismo si è poi trasformato in multipolartismo intorno al 2017, con l’ascesa della Cina e la resurrezione del potere russo. In questo contesto multipolare, segnato da una crescente rivalità tra le nazioni in una sfida per massimizzare la propria sicurezza relativa, anche quelli che un tempo si definivano i Paesi “non allineati”, cercano nuove prospettive e alleanze. Soprattutto in Africa, dove Cina e Russia attraggono le ex colonie dell’occidente grazie a un efficace soft power (vedasi gli slogan pro-Putin durante il colpo di stato in Niger).
Un’alternativa al modello occidentale
In particolare, il gruppo dei Brics - Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica - rappresenta un approdo ideale per molti Paesi in via di sviluppo e una seria alternativa al Washington consensus. Nel 2014, con 50 miliardi di dollari (circa 46 miliardi di euro) di capitale iniziata, i paesi Brics hanno lanciato la New Development Bank come alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale. L’acronimo Brics, che inizialmente stava per Brasile, Russia, India e Cina, a cui si è poi aggiunto il Sud Africa, è stato coniato da Jim O’Neill nel 2001 quando era capo economista della banca d’affari Goldman Sachs. Nel corso dell’ultimo decennio, i Brics hanno dimostrato di rappresenta un polo attrattivo, come confermato dalla crescente richiesta di adesione ai Brics da parte di numerosi Paesi africani, asiatici e sudamericani. [...]
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