Nel 2022 aumentano gli stipendi? Vantaggi specialmente per i dipendenti pubblici, i quali godranno sia della riforma fiscale che del rinnovo di contratto.
Dell’aumento dei prezzi ne abbiamo già parlato: è giusto che, alla luce anche dell’andamento dell’inflazione, presto comincino a salire anche gli stipendi.
Il tema dell’aumento di stipendio è attualità nella Pubblica Amministrazione, ma anche nel settore privato dove da mesi si discute della possibilità d’introdurre un salario minimo che andrebbe a tutelare specialmente i lavoratori di alcuni settori.
Un progetto che tuttavia difficilmente si concretizzerà nel 2022, in quanto nella prossima Legge di Bilancio non dovrebbe esserci spazio per una tale misura. Quel che è certo,invece, è che ci sarà una riforma del Fisco, per la quale sono a disposizione 8 miliardi di euro. Questa ha come obiettivo la riduzione dell’imposizione fiscale, con possibili novità lato Irpef: una tale riforma comporterà un aumento dello stipendio netto a parità di lordo, con vantaggi in busta paga già accennati nei giorni scorsi.
Ma vediamo nel dettaglio come le retribuzioni potrebbero cambiare il prossimo anno, con gli italiani che finalmente potranno contare su una maggiore liquidità, utile anche per far fronte all’aumento dei prezzi.
Aumento degli stipendi nella Pubblica Amministrazione
Entro la fine dell’anno dovrebbe arrivare la tanto attesa firma sull’accordo per il rinnovo del contratto della Pubblica Amministrazione valido per il triennio 2019-2021.
Un accordo che porterà, oltre a varie novità sul fronte smart working, anche a un incremento di stipendio che dovrebbe essere superiore a quello apportato con l’ultimo rinnovo di contratto. Per lo scorso triennio, infatti, l’aumento medio e lordo è stato di 85,00€, mentre per il triennio corrente l’Aran ha annunciato in incremento medio di 107,00€.
Utilizziamo il condizionale perché fino a quando non ci saranno le firme sull’accordo è bene restare cauti sull’argomento. Anche perché i sindacati ritengono che in realtà con le risorse a disposizione - 1,1 miliardi di euro per il 2019, 1,750 miliardi per il 2020 e 3,775 miliardi per il 2021 - difficilmente si potrà raggiungere un tale incremento, e si mantengono più bassi su una cifra che non dovrebbe superare i 90,00€ medi e lordi.
Aumento degli stipendi con il taglio delle tasse
Con la Legge di Bilancio 2022 sono stati stanziati 8 miliardi di euro per la riforma delle tasse, con un focus al cuneo fiscale. Per cuneo fiscale si intende la differenza che c’è tra lordo e netto, sulla quale si è già intervenuti nel luglio del 2020 con l’introduzione del bonus 100 euro (in sostituzione del bonus Renzi).
Un nuovo intervento di questo tipo, dunque, è in programma per il 2022 con vantaggi per tutti i lavoratori (sia del settore pubblico che privato), o quasi.
Per il momento si tratta solamente d’indiscrezioni ma che non sorridono ai redditi più bassi. Secondo anticipazioni, infatti, la decisione del Governo dovrebbe muoversi in direzione di un taglio dell’aliquota Irpef del 38%, ossia quella rivolta alla fascia compresa tra i 28 mila euro e i 55 mila euro lordi.
E come spiegato dallo Studio VEF&Partners di Milano, nel loro report pubblicato da Il Giornale e realizzato sulla base dei dati pubblicati dal Dipartimento delle Finanze del MEF, è possibile stimare che un taglio del 3%, con l’aliquota fiscale che dunque scenderebbe al 35% avrebbe come conseguenza:
- aumento di stipendio pari a zero per i redditi bassi, ossia per chi ha uno stipendio lordo che non supera i 28.000 euro;
- per redditi compresi tra i 28.000 e i 50.000 ci sarebbe un risparmio del 4%, circa 660,00€ in più sullo stipendio annuo;
- per redditi superiori ai 50.000, ma inferiori ai 75 mila euro il risparmio sarebbe del 2,9%, con un vantaggio annuo di 880 euro mensili.
Va detto che al momento si tratta solamente di una proposta; non è detto dunque che sarà questo il taglio previsto. Anche perché non mancano le polemiche: da una parte il fatto che comunque si tratta di un risparmio piuttosto contenuto, dall’altra la mancanza di vantaggi per le fasce reddituali più basse, con l’obiettivo di preservare la progressività che non verrebbe raggiunto.
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