Molti operatori cominciano a chiedersi per quale motivo il premio al rischio non venga prezzato dai mercati. La resilienza delle Borse, a fronte, di dati macroeconomici scoraggianti è da ascrivere al ruolo pivot giocato dalle banche centrali
Analisti ed investitori si stanno chiedendo per quale motivo il premio al rischio, notevolmente incrementato gli interventi delle banche centrali a marzo, non venga prezzato dalle Borse.
Oltre all’incertezza legata alla questione Brexit, anche i dati economici provenienti dalle principali economie globali continuano ad indicare che il rallentamento economico mondiale potrebbe durare più del previsto.
«Noi crediamo che la divergenza tra le scoraggianti performance economiche e la resilienza dei mercati finanziari sia ormai definitivamente da ascrivere al ruolo pivot giocato dalle Banche centrali: con i rendimenti del Bund nuovamente in territorio negativo e l’inversione della curva dei rendimenti Usa ciò che appare all’orizzonte è chiaramente una maggiore debolezza», ha spiegato Peter Rosenstreich, Head of Market Strategy di Swissquote.
Recessione a portata di mano
Molti analisti si attendono una recessione a causa della debolezza del settore manifatturiero e del commercio internazionale. A tal proposito, una notizia che di recente ha avuto una grande risonanza mediatica è stata quella relativa all’inversione della curva dei tassi di interesse Usa, un evento che non accadeva dal 2007, anno che ha aperto le porte alla grande crisi finanziaria globale.
Per l’esperto di Swissquote il movimento dei dots plot della Fed è altresì un chiaro segnale che le maggiori Banche centrali stanno virando le loro future azioni di politica monetaria da uno scenario di normalizzazione ad uno di reflazione.
Rosenstreich chiosa così: «Siamo stati e siamo di nuovo spettatori dell’effetto potente dell’allentamento delle banche centrali che stanno guidando il maggior rialzo di sempre delle Borse sottostimando la minaccia di eventi esterni idiosincratici».
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