CCNL ristorazione: come funziona la tutela della genitorialità?

Claudio Garau

16 Gennaio 2022 - 11:00

Il CCNL ristorazione contiene una serie di utili norme a tutela della genitorialità, che si ricollegano all’istituto dei congedi e al diritto alla conservazione del posto di lavoro.

CCNL ristorazione: come funziona la tutela della genitorialità?

Il CCNL ristorazione è, sotto vari aspetti, un testo assai articolato, com’è tipico di un contratto collettivo nazionale del lavoro. Vero è che si è applicato dal primo gennaio 2018 fino al 31 dicembre dell’anno appena terminato. Esso dunque è scaduto da pochi giorni, ma occorre comunque rimarcare che si tratta di un rilevante documento che alcuni anni fa la FIPE - con altre associazioni di rappresentanza dei pubblici esercizi, della ristorazione collettiva e commerciale e turismo - sottoscrisse con i sindacati CGIL, CISL e UIL, per regolare con efficacia e nel dettaglio proprio questo settore chiave. L’iter di rinnovo del CCNL in oggetto è già stato intrapreso, ma certamente si tratta di un percorso non facile.

Consapevoli del fatto che un nuovo testo prenderà il posto di quello vigente per il quadriennio appena concluso, vogliamo comunque porre l’attenzione sul CCNL ristorazione, ed in particolare considerare come funziona la tutela della genitorialità. Infatti, uno specifico capo del testo in oggetto se ne occupa, e predispone norme degne di considerazione, per i riflessi che hanno sui nuclei familiari. Facciamo chiarezza.

CCNL ristorazione: i congedi per la tutela della genitorialità previsti dall’art. 199

Il presente CCNL è suddiviso razionalmente in una parte generale e in una parte speciale, in titoli e capi e - in particolare - al titolo VII, intitolato ’Sospensione del rapporto di lavoro’, capo IV, si occupa della tutela della genitorialità. Con quest’ultimo termine, in particolare, si intende il processo di promozione e sostegno dello sviluppo fisico, emotivo, sociale e intellettuale del proprio figlio o dei propri figli, nel periodo che va dall’infanzia fino al raggiungimento dell’età adulta. Un po’ più nel dettaglio, il concetto di genitorialità si correla alla complessità dell’iter di crescere ed educare un bambino, e non soltanto alla relazione biologica e naturale.

Il primo articolo di riferimento è il 199 il quale stabilisce a livello introduttivo che - salvo quanto previsto dallo stesso testo - alla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza e puerperio, ed al lavoratore padre, sono applicate le disposizioni di legge in materia. Ci si riferisce, ovviamente, al d. lgs. n. 151 del 2001 e successive modifiche e/o integrazioni, ossia al Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.

In detto articolo è stabilito che, nell’ambito dello stato di gravidanza e puerperio o adozione o affidamento la persona alla dipendenze del datore di lavoro, ha diritto di astenersi dal lavoro:

  • per "congedo di maternità”, vale a dire l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice nei 2 mesi precedenti la data del parto e nei 3 mesi successivi al parto; e, in alternativa, un mese prima della data presunta del parto e nei 4 mesi posteriori alla nascita, a patto che nel corso del settimo mese di gravidanza il medico specialista del servizio sanitario, o con esso convenzionato, e il medico competente nel caso di attività sottoposta sorveglianza sanitaria, acclarino che tale scelta non mette a rischio la salute della gestante e di colui che sta per nascere;
  • per "congedo di paternità”, ossia l’astensione dal lavoro del lavoratore, ottenuto in alternativa al congedo di maternità. Ciò si applica pur fermo restando il congedo per la nascita del figlio, previsto e normato dall’art. 4 legge n. 92 del 2012 con modifiche e integrazioni.
  • per "congedo parentale”: si tratta di una differente astensione lavorativa, valevole sia per la lavoratrice che per il lavoratore, nei primi dodici mesi di vita del bambino “nel limite massimo individuale corrispondente a 6 mesi per la madre, a 7 mesi per il padre; il limite complessivo tra i genitori è pari a 11 mesi, fermi restando i limiti massimi individuali. Tale diritto è riconoscibile per ogni figlio nato e può essere esercitato da entrambi i genitori anche contemporaneamente per lo stesso bambino”. All’art. 201, si specifica poi che detti congedi possono essere frazionati, anche a ore, in base a quanto previsto dalle vigenti disposizioni di legge, in misura corrispondente “alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo. La contrattazione integrativa potrà stabilire diverse modalità di fruizione”.
  • per «congedo per la malattia del figlio», e ci si riferisce a tutti i casi di astensione facoltativa dal lavoro della dipendente o del dipendente sottoposto alla regole del CCNL ristorazione, per assistere il figlio per motivi correlati all’insorgenza della citata malattia. Il periodo di congedo varia in base all’età del figlio (art. 203).

CCNL ristorazione: il diritto alla conservazione del posto della lavoratrice e l’aspetto retributivo

Al terzo comma dell’art. 199 su cui abbiamo posto l’attenzione, le parti firmatarie dell’accordo hanno inteso stabilire il diritto alla conservazione del posto a favore della lavoratrice (divieto di licenziamento). Esso vale per tutto il periodo di gestazione, acclarato da regolare certificato medico, e fino al compimento di un anno di età del figlio.

Attenzione però: ciò si applica salvo le eccezioni previste dalla legge, le quali dunque prevalgono. Ci riferiamo ai seguenti casi:

  • licenziamento per giusta causa;
  • cessazione dell’attività dell’impresa;
  • completamento della prestazione per cui la lavoratrice era stata assunta;
  • cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine per il quale era stato firmato.

Inoltre, il divieto di licenziamento appena citato, vale anche nelle circostanze dell’adozione e dell’affidamento fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. E quanto previsto e appena menzionato si applica anche al dipendente che abbia utilizzato l’istituto del congedo di paternità, perciò il divieto di licenziamento tutela il padre lavoratore per tutto il lasso di tempo del congedo stesso e si allarga fino al compimento di un anno di età del figlio.

In particolare, il divieto di licenziamento si applica in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio e la dipendente licenziata, nell’ambito del periodo nel quale è attivo il detto divieto, ha diritto di conseguire - in ogni caso - il ripristino del rapporto di lavoro per il tramite della presentazione, entro 90 giorni dal licenziamento, di idonea certificazione. Da essa deve infatti emergere che, all’epoca del licenziamento, sussistevano le condizioni che lo impedivano.

In ogni caso, al comma 5 dell’art. 199 del CCNL ristorazione, è prevista una norma di garanzia per la lavoratrice, la quale stabilisce che - nel caso di dimissioni presentate nell’ambito del periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento - la lavoratrice ha diritto al TFR e a una indennità corrispondente a quella spettante in ipotesi di preavviso. E come opportunamente rimarcato dal suddetto comma: “ciò si applica anche al padre lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità ovvero per il genitore che abbia fruito dei congedi nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare”.

Tuttavia, la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, nell’ambito del periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore nell’ambito dei primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. Pertanto, a detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro in essere. Ma è pur vero che, in ipotesi di dimissioni, il dipendente o la dipendente non sono tenuti a dare preavviso.

Sul piano dello stipendio, il CCNL ristorazione sgombera il campo da ogni possibile dubbio. Durante il periodo di congedo di maternità di cui si trova menzione all’art. 22 del d. lgs. 151 del 2001, la lavoratrice madre ha diritto a una indennità a carico dell’INPS corrispondente all’80% della retribuzione. Mentre, nell’ambito del periodo del cd. congedo parentale di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 151 del 2001, il genitore che se ne serve, conserva il diritto a una indennità corrispondente al 30% dello stipendio. In particolare, la somma anticipata dal datore di lavoro è però posta a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS, in base a quanto a suo tempo stabilito dalla legge n. 33 del 1980.

All’art. 200 del CCNL ristorazione, recante il titolo “Integrazione congedo di maternità”, è stabilito - ad ulteriore garanzia della lavoratrice madre - che nell’ambito del periodo di congedo di maternità (astensione obbligatoria) la donna ha diritto, per un lasso di tempo di cinque mesi, a un’integrazione dell’indennità INPS, da versarsi da parte del datore di lavoro, a proprio carico, in maniera da raggiungere in totale la misura del cento per cento della retribuzione giornaliera netta cui avrebbe avuto diritto in circostanze di normale svolgimento del rapporto di lavoro (inclusa la tredicesima mensilità).

Concludendo, ricordiamo che, alla luce di quanto previsto nel capo IV - Tutela della genitorialità - del CCNL ristorazione in oggetto, la persona interessata ad avvalersi dei benefici previsti, deve comunque fornire adeguata certificazione medica al proprio datore di lavoro.

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