L’orribile delitto di Torino in cui ha perso al vita Stefano Leo è l’ennesimo colpo al concetto di giustizia: il suo assassino reo confesso, Said Mechaquat, il giorno del delitto avrebbe dovuto trovarsi in carcere. L’ordine di esecutività della pena però si è arenato in Corte d’Appello tra un migliaio di altri fascicoli. E se a Torino è morta di nuovo la giustizia di certo non morirà la democrazia senza Radio Radicale...
Il delitto dei Murazzi di Torino oltre ad essere stato particolarmente orribile, contiene al suo interno tutta una serie di elementi che sconvolgono e lo rendono decisamente anomalo, anche nel suo irrealistico movente. Rimane però soprattutto una forte indignazione: Said Mechaquat, il marocchino con cittadinanza italiana che si è autoaccusato, il giorno dell’omicidio avrebbe dovuto essere in carcere. Su di lui pendeva un ordine di carcerazione per una condanna diventata definitiva ma per la mancanza di personale del tribunale non era mai stato eseguito. Carenze della cancelleria. Se così fosse stato il 23 febbraio scorso, probabilmente, Stefano Leo non sarebbe morto, evitando il casuale incontro con il suo carnefice.
La pratica per eseguire la pena di Mechaquat si è fermata in Corte d’Appello senza mai arrivare in Procura. Il presidente della Corte si è scusato pubblicamente, pur non essendo certo lui il colpevole. Il fascicolo del marocchino era parcheggiato in attesa, insieme ad altri mille.
È evidente come il sistema giustizia sia sempre più al collasso. Ecco allora che bisognerebbe finalmente trovare il coraggio di una riforma vera, capace di bypassare il corporativismo della magistratura. Ne gioverebbero ad esempio i tanti bravi pm, ostacolati dall’inefficienza complessiva del sistema. Bisognerebbe cominciare dall’abolizione di reati assurdi che non dovrebbero intasare le aule di giustizia, dalla digitalizzazione completa della macchina burocratica, dalla calendarizzazzione delle udienze senza quelle lunghe e non più giustificabili interruzioni. Ed all’inserire, di fronte ad alcune fattispecie colpose, la responsabilità diretta di quei magistrati che contribuiscono, anche per inefficacia o imperizia, a ingolfare il sistema e dunque a fare il contrario della giustizia. E di fatto ad ucciderla.
A trafiggere mortalmente Stefano Leo, simbolicamente, è stato il sistema nel suo complesso. In tutte le professioni chi sbaglia paga. Non si capisce per quale retaggio questo principio non dovrebbe valere per chi indossa una toga.
Radio piagnisteo
Ogni volta che si arriva in prossimità della scadenza della convenzione che riguarda Radio Radicale riparte il solito piagnisteo sul rischio chiusura. Per carità, l’emittente pannelliana ha indubbiamente ricoperto nel corso della sua lunga storia, un ruolo fondamentale nel far ascoltare tutte le voci politiche, anche quelle meno tradizionali. Ha rappresentato la voce degli ultimi, i dimenticati delle carceri con i loro diritti negati. Ha dato pieno sfogo alla libertà di pensiero con i famosi 40 secondi in cui uno poteva fare il discorso più aulico come sganciare una serie di pernacchie. Tutto vero. Solo che i tempi cambiano così come le tecnologie. Lo stesso ascolto radiofonico sta profondamente cambiando: visual radio sul digitale terrestre, ip radio, podcast, auto connesse che permettono l’ascolto delle web radio anche in movimento, gli stessi smartphone che diventano le radioline moderne, fino ad arrivare agli smart speakers come Alexa: di fatto tutto questo ha riportato la radio all’interno delle abitazioni.
Può essere quindi ancora giustificabile per uno Stato spendere tutti quei milioni per far vivere quella che comunque rimane una radio sostanzialmente di partito ed i cui servizi offerti se un tempo erano gli unici, oggi sono sovrapponibili ad altri offerti gratuitamente in altro modo? Per le sedute parlamentari c’è ormai da anni Gr Parlamento (sicuramente da potenziare negli impianti), qualsiasi leader politico trasmette i propri eventi live nei suoi canali social.
Insomma, il corso degli eventi ha ridimensionato la funzione di Radio Radicale e un sostegno pubblico così rilevante per farla sopravvivere sembra ormai anacronistico. Piuttosto, dal punto di vista pratico, la radio potrebbe vendere i costosi impianti fm e concentrarsi sul futuro già presente: diventare una Ip Radio magari anche in simultanea audio/video sul digitale terrestre, strada non troppo dispendiosa economicamente e già intrapresa con successo da numerose e note emittenti nazionali.
Eventuali sinergie con la Rai, ad esempio l’integrazione con Gr Parlamento, potrebbero essere di buon senso anche se, comunque, a nostre spese. Di sicuro una bella patata bollente per il Movimento 5 Stelle considerata la sua posizione da sempre avversa al sostegno pubblico ai mezzi di informazione.
In passato il piagnisteo radicale ha sempre portato al rinnovo della convenzione. Riuscirà anche stavolta a scamparla sollevando la bandiera del diritto all’informazione e della democrazia? Come dire: è grazie a Radio Radicale se oggi continuiamo ad essere un paese democratico. Gli altri organi di informazione, poverini, se non riescono a rimanere sul mercato, pazienza. L’importante è aver garantito l’ascolto quotidiano di Stampa&Regime per vivere più sereni e fortemente democratici.
Radio Carcere
Piuttosto sarebbe arrivato il momento per una battaglia di civiltà. Perché nelle carceri si possono ascoltare le radio tradizionali in fm, si può guardare la televisione ma non si possono consultare giornali online od ascoltare web radio? L’asimmetria nel mondo di oggi sembra particolarmente evidente. Sul web possono esistere trasmissioni di grandissima utilità per chi si trova in cella, per poter studiare certi temi, per approfondirne altri, per contribuire a poter essere una persona migliore quando si uscirà dal carcere. Il servizio potrebbe essere introdotto in via sperimentale, come in parte avvenuto a Genova, dove sono i detenuti stessi a produrre alcuni contenuti radiofonici. Servirebbe il vaglio delle autorità del carcere in modo che non si usino trasmissioni radiofoniche fittizie sul web al solo fine di mandare messaggi al detenuto dall’esterno.
Con le dovute contromisure e accortezze potrebbe essere questa una novità di ulteriore umanità e di speranza che la pena possa anche rieducare e non solo rinchiudere le persone spesso in condizioni non consone ad un paese civile. E così, i detenuti, potrebbero continuare ad ascoltare Radio Carcere anche nel caso in cui Radio Radicale divenisse solo un’emittente digitale sul web.
Ne rimase solo uno
Prosegue il balletto di emendamenti sul nuovo ddl che vuole “superare” , come recita il contratto di governo, la legge Lorenzin. Dopo alcune ipotesi un po’ strampalate, la scorsa settimana si era arrivati all’emendamento che aboliva il requisito del certificato vaccinale per l’ingresso in ogni tipo di scuola, nidi e materne comprese. Dunque, pur rimanendo la sanzione amministrativa, nessun bambino in questa ipotesi potrebbe più essere escluso. Uno scenario che ha suscitato una marea di polemiche tanto che ora siamo arrivati ad un’altra ipotesi. L’obbligo del certificato rimarrebbe solo per la vaccinazione contro il morbillo. Un sensibile sconto, rispetto alla raffica di vaccini previsti dalla legge Lorenzin.
Il problema, come sollevato da Burioni, è però pratico: non esisterebbe in commercio un vaccino monovalente, visto che quello contro il morbillo è contenuto insieme a quelli contro parotite e rosolia.
I componenti della commissione sanità questo dovrebbero saperlo ed allora ci si chiede: è un modo un po’ furbetto di mantenere uno spettro di obbligatorietà pur sapendo quanto sarà facile aggirarlo, permettendo al genitore di sollevare l’obiezione sull’inesistenza del monovalente? Non possiamo saperlo e comunque siamo ancora molto lontani da un testo definitivo licenziato.
Di sicuro su questo tema c’è stata una grande confusione fin dall’inizio tanto da far sospettare ai movimenti che si battono per la libera scelta, sull’effettiva volontà di cambiare la legge Lorenzin. Ipotizzando anche un suo peggioramento. Sicuramente su questo tema il Movimento 5 Stelle si giocherà una bella fetta di consensi e forse proprio per questo sembra aver velocizzato l’iter in commissione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA